27 novembre 2009

Didattica innovativa: un modello

Il sistema paritario, pagato a caro prezzo dalle famiglie, ha anticipato percorsi ripresi dalle statali
di Luisa Ribolzi
Il carattere prevalente­mente ideologico del di­battito sulla scuola pari­taria porta spesso nel nostro Paese ad un eccesso di a­strattezza, che finisce con l’i­gnorare quello che succede quotidianamente nelle aule e fuori. Tanto per fare un e­sempio, perché nessuno va­lorizza il ruolo che il sistema paritario da sempre riveste nel qualificare giovani neo­laureati privi di ogni espe­rienza, che poi vincono i concorsi e si inseriscono, mediamente con ottimi ri­sultati, nel sistema statale, che invece tende a occupar­si sempre di meno di forma­re i nuovi insegnanti? Addi­rittura, non è ancora sconta- to che le scuole paritarie pos­sano essere presenti nel si­stema di praticantato previ­sto dalle nuove leggi per la formazione iniziale dei do­centi.
Si tratta solo di un esempio, anche se macroscopico, del ruolo che le scuole paritarie hanno, e ancora più potreb­bero avere, nell’ottimizza­zione del nostro sistema sco­lastico nazionale, composto, per chi lo avesse dimentica­to, di scuole autonome sta­tali e di scuole paritarie. Que­sto ruolo mi pare duplice: da un lato, il sistema paritario, grazie alla maggiore autono­mia di cui gode, pagata pe­raltro a caro prezzo dalle fa­miglie, dato che riceve fi­nanziamenti pubblici che o­scillano da ridotti a inesi­stenti, ha potuto sperimen­tare in anticipo soluzioni di­dattiche e organizzative che potrebbero essere riprese u­tilmente anche dalle scuole statali (basti pensare all’abi­tudine a lavorare in rete), dal­l’altro l’attuazione di una rea­le parità potrebbe tradursi in un risparmio, o almeno in un più razionale uso dei fondi investiti in istruzione.
Questa affermazione, che può sembrare paradossale, non è difficile da documen­tare. Al momento, e il dossier dell’Agesc lo ha ampiamen­te provato, l’esistenza di un settore paritario in larga mi­sura pagato dagli utenti (che non godono di alcuno sgra­vio fiscale e quindi finanzia­no anche il sistema delle scuole statali) consente allo Stato un risparmio di alcuni miliardi di euro. Ricerche svolte in molti Paesi europei ed extraeuropei sui mercati educativi, hanno mostrato che i costi pro-capite di ogni studente nel sistema pubbli­co sono maggiori, talvolta molto maggiori, di quelli pri­vati, per cui un finanzia­mento alla famiglie che con­sentisse un maggiore ricor­so alle scuole private si tra­durrebbe in un risparmio fi­nale. Questo vale anche di fronte all’obiezione che le scuole private tendono ad e­scludere i ragazzi più «costo­si » (stranieri, disabili, svan­taggiati), perché le scuole ri­cevono un pagamento più consistente per questi ragaz­zi.
In Italia questo tipo di studi non è presente, sia per la sua oggettiva difficoltà, sia – te­mo – per la diffusione dell’i­dea preconcetta che la scuo­la paritaria costituisca, a priori, un aggravio di costi. Certamente gli elementi da valutare sarebbero molti, dal come costituire un mercato integrato degli insegnanti, che potrebbero spostarsi senza penalizzazioni fra i due settori, al come stabilire il punto in cui scatta il rispar­mio, e infine a come risolve­re il problema dei 'produt­tori', visto che di fronte a un aumento della domanda non tutte le scuole di qualità sarebbero disponibili ad al­largare incondizionatamen­te l’offerta. Quello che è cer­to è che la «fuga nel privato» paventata dai difensori più strenui del monopolio stata­le non ci sarebbe, sia per mo­tivi banalmente contingen­ti, come la struttura del ter­ritorio che non consente la moltiplicazione dell’offerta di scuole, sia per motivi le­gati alla domanda aggiunti­va, che le stime più larghe portano a non più del 12 - 15 per cento. Sarebbe veramen­te interessante, sgombrato il terreno dai pregiudizi, capi­re come si muoverebbe il si­stema in Italia.
«Avvenire» del 27 novembre 2009

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