28 novembre 2009

La lunga incubazione dei due terrorismi alla scuola dell'odio

Un'indagine sulla stagione di violenza innescata dall'estremismo di destra e di sinistra
di Dino Messina
La scena del libro si apre sulle scalinate della facoltà di Lettere della Sapienza di Roma. C'erano le elezioni universitarie e qualcuno aveva parlato di brogli. Durante una rissa provocata dagli studenti di destra venne colpito il diciannovenne Paolo Rossi, socialista di 19 anni, figlio di partigiani, scout cattolico, che cadde da un muretto e morì dopo una lunga agonia. Era il 27 aprile 1966. E quel ragazzo era la prima vittima di scontri tra fazioni avverse dalla fine degli anni Quaranta. Guido Panvini, giovane, brillante e misurato storico dell'Università di Macerata, autore dell'eccellente Ordine nero, guerriglia rossa. La violenza politica nell'Italia degli anni Sessanta e Settanta (1966-1975), appena pubblicato da Einaudi, si chiede se la categoria della guerra civile, a lungo avversata, non si possa applicare anche al decennio da lui analizzato, ma dà subito una risposta per bocca di Silvia Giralucci, figlia di Graziano, militante del Movimento sociale ucciso a Padova dalle Brigate rosse il 17 giugno 1974: «Io non credo che ci fosse una guerra civile in atto, semplicemente perché la quasi totalità dei morti che ci sono stati negli anni di piombo non erano armati». Parole illuminanti che tuttavia non esauriscono la questione posta da Panvini. Lo studioso in questo libro sviluppa e inquadra in una dimensione ampia e complessa anche i risultati di una sua ricerca sulla pratica della schedatura degli avversari politici negli anni dal 1969 al 1980, pubblicata tre anni fa dalla rivista «Mondo Contemporaneo» con il titolo Alle origini del terrorismo diffuso. Abituato a consultare archivi, giornali e fonti di prima mano, Panvini si muove in quel terreno poco indagato della violenza politica, degli scontri tra partiti, parlamentari ed extraparlamentari, e fazioni rivali che crearono il clima propizio per la nascita e lo sviluppo del terrorismo di destra e di sinistra. Un processo lungo che cominciò con le parole e finì nella violenza. Nel 1966 Pino Rauti, leader di Ordine Nuovo, e Guido Giannettini, collaboratore del «Secolo d'Italia» e agente del Sid, pubblicano sotto pseudonimo Le mani rosse sulle forze armate. La parola d'ordine di quell'area politica era «Indonesia Indonesia», con allusione al massacro dei comunisti perpetrato dal generale Suharto. Lo stesso anno nacque a Livorno il Partito comunista italiano marxista leninista, che promosse l'incontro con gli ex partigiani e la pratica della «vigilanza rivoluzionaria». Nel clima di scontro sociale che si faceva sempre più acceso, nel maggio 1969, sette mesi prima della strage di piazza Fontana, sul giornale «Avanguardia Operaia» si incitava all'odio del «capoccia, del dirigente» e si affermava: «È importante individuare il nemico, personalizzarlo, dargli nome e cognome». Non è un caso, quindi, se nel 1985 nel corso dell'inchiesta sull'omicidio di Sergio Ramelli, il ragazzo simpatizzante di destra ucciso sotto casa a Milano a sprangate dieci anni prima, venne trovato in un abbaino abbandonato da alcuni militanti di Avanguardia Operaia un lungo elenco di «nemici». La pratica della schedatura, con la pubblicazione di nomi, abitudini, tipo e targa di macchina, che poi divenne l'Abc del terrorismo, fu sviluppata dai gruppi di destra e di sinistra ben prima dell'esplodere della lotta armata clandestina: agli elenchi dei militanti di sinistra pubblicati dal «Candido» corrispondevano le liste nere di «Lotta Continua». Nella strategia di esporre il nemico rientra il ritratto apparso su «Lotta Continua» il 1° ottobre 1970, circa due anni prima dell'omicidio: «Luigi Calabresi, 30 anni, abitante a Milano, in via Largo Pagano. Il numero di telefono non è riportato sull' elenco ma, fino a poco tempo fa, su richiesta, veniva comunicato dal centralino». La chiamavano «controinformazione», era incitamento al linciaggio. In un'epoca di stragi e settimanali scontri di piazza, persino il Pci sentì l'esigenza di mettere in piedi un proprio apparato informativo - la sezione Problemi dello Stato affidata a Ugo Pecchioli - che raccoglieva dati sugli estremisti di destra, ma cui giungevano anche informazioni su formazioni clandestine di sinistra che non sempre furono trasmesse alle autorità competenti. Ordine nero, guerriglia rossa è la storia di un decennio da un inedito punto di vista. Gli anni in cui tanti giovani di sinistra consideravano legittimo l'uso della spranga e dello «stalin» (il bastone corto da nascondere sotto l'impermeabile). Per contro, in una semplice simbologia della violenza, i neofascisti usavano il coltello e l'asta del tricolore. Il limite delle analisi politiche ma anche delle inchieste di polizia, fu di aver sposato la teoria degli opposti estremismi, ponendo l'accento più sulle manifestazioni di piazza che sulla pericolosità delle diffuse organizzazioni semiclandestine.

Lo storico Guido Panvini svolge attività di ricerca presso l'ateneo di Macerata.
Nel suo libro Panvini ricostruisce il processo di militarizzazione della lotta politica che portò agli anni di piombo.
Guido Panvini, Ordine nero, guerriglia rossa, Einaudi, pp. 292, € 30
«Corriere della sera» del 17 settembre 2009

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