22 novembre 2009

Non teoria ma un'offerta di amicizia

La Chiesa e l'arte
di Davide Rondoni
Il Papa ha parlato agli artisti che da tutto il mondo hanno accet­tato il suo invito. Lo ha fatto in un modo fortissimo. Ha detto: «La bel­lezza ferisce». Ha ripetuto che tra arte e fede c’è «affinità». E che nul­la del genio di un artista è tolto o mortificato dalla fede. È stata una cosa intensa. E sobria. Alta e sobria. Sì, è vero c’era lo sfarzo magnifico della Cappella Sistina. C’era la de­licata, violenta bellezza della infi­nita serie di sale dei musei vatica­ni. C’era l’aria bambinesca di tan­ti di noi che ci aggiravamo tra quei tesori. C’era il cantore in veste di pizzo che dice all’amico: «Ahò, ma c’è Venditti! » C’erano il buffet e quelli che si complimentavano per l’opera dell’altro. E c’erano quelli che dicevano d’essersi visti l’ulti­ma volta negli anni Settanta. In­somma, c’era tutto quel che non può non esserci in ogni genere di ri­trovo tra artisti. Ma soprattutto c’è stato l’invito sobrio e alto di papa Benedetto. L’invito ribadito a una «amicizia», cioè a tendere insieme alla bellezza. E alla visione. A ser­vire con l’opera dell’artista non la «seducente», «ipocrita», «vana» bel­lezza che viene spacciata per tale e che alimenta solo la «brama». Ma quella che rivela i tesori dello spi­rito, che lancia segnali e ponti tra l’umano che siamo e l’infinito a cui tendiamo.
L’invito essenziale, potente del Pa­pa, calibrato su tanti testi prece­denti, su citazioni dei suoi prede­cessori Paolo VI e Giovanni Paolo II e alcuni pensatori tra cui Von Balthasar, è stato rivolto a una pla­tea di artisti di ogni genere. Nomi più o meno noti al grande pubbli­co. Protagonisti d’ogni genere di ar­te: dalla danza alla poesia, dall’ar­chitettura alla musica. Si era lì in tanti eppure in un numero neces­sariamente esiguo ma, per così di­re, era l’occasione d’ascoltare una parola in realtà rivolta a tutti colo­ro che lo desiderano. E il Papa non ha voluto cavarsela con qualche frase di circostanza. Ha affrontato il cuore del proble­ma dell’arte. Che si chiama «bel­lezza ». Nonostante il pensiero del­la nostra epoca, ha ricordato Be­nedetto, sia spesso guidato o in­fluenzato da persone che alla pa­rola reagiscono con un 'sorrisetto' di compatimento, il problema del­­l’artista riguarda il significato del­la parola bellezza e la sua espe­rienza. Più volte il Papa ha richia­mato che questo gesto di artisti sta­va avvenendo nella cornice di una sala che è luogo privilegiato del­l’arte e della storia della Chiesa. Lì si eleggono i papi, e di quei dipin­ti Giovanni Paolo II ha detto che in un certo senso la Bibbia attendeva Michelangelo per farsi visibile. U­na sintesi di arte e fede.
Benedetto non ha perso tempo a delineare una «teoria sull’arte». Ha ripetuto quel che gli artisti per e­sperienza sanno: l’arte è una fine­stra sul mistero della vita. Nem­meno ha dato qualche consiglio morale agli artisti. Ha chiesto solo di stare dalla parte della speranza, che è vera figlia della bellezza. E ha fatto vedere la storia d’arte che la Chiesa ha mosso e ospitato nei se­coli, invitando a farne parte. Tutti, fedeli o no, santi o peccatori. Lon­tani che si credono vicini, o vicini che si credono lontani. Non ha chiesto di aderire a una teoria, ha offerto un’amicizia. E oggi, tra i tan­ti che sull’arte speculano, chiac­chierano, tessono inganni, o muli­nano aria fritta, chi davvero offre una cosa chiamata amicizia agli ar­tisti e al loro lavoro? Per questo in tanti, di ogni genere, abbiamo accettato l’invito di Papa Benedetto.
«Avvenire» del 22 novembre 2009

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