28 novembre 2009

Se anche la poesia va in trincea suonando i «vecchi tamburi»

di Pierluigi Battista
Ecco, ci mancava la poesia mobilitata per combattere il Grande Tiranno. L'Unità pubblica «trenta poeti contro la minaccia incostituzionale, per la resistenza della memoria repubblicana». Come il poeta García Lorca è diventato il simbolo della cultura violentata dalle orde franchiste, come Eluard e Aragon che con i loro versi combattevano il nazismo trionfante, così la poesia italiana degli anni berlusconiani va in trincea, riscopre l'impegno civile, crea simbolicamente il legame emotivo che unisce la vecchia e la nuova resistenza. Sì, ci mancava solo la poesia. Quella del poeta Stefano Sanchini, che urla indignato per «il soldo che da sempre muove» le battaglie mercenarie del nemico: «verdi e non nere han le camicie i nuovi esaltati che han ristretto la patria». «Col vostro Porcone e le sue Madonne velinose andate pure alle glorie delle falsate storie», impreca Giuliano Scabia in un componimento dal titolo Golpe sottile («si aggira nelle menti/un golpe sottile/un assopimento spettacolare/indotto da paura/e dissolversi delle visioni»). E sulla scia di Majakovskj il battagliero Loris Ferri invoca la pugna fatale, la battaglia con le bandiere che brillano all'orizzonte: «Battete compagni i vecchi tamburi della rivolta/in faccia a quest'era dagli zigomi di dolore e psicosi/ad ogni schiaffo preso/più sorridenti». E che vigore nei versi di Gianni D'Elia sull'«insigne erede di sozza fazione», sull'«italiano del Duemila tutta aria di denaro e potere/il solo amore/bassa statura/che animo non varia/di riccastro ed impresario in calore» (Titolo della poesia: La Liberazione). La raccolta poetica (parola d'ordine: «Calpestare l'oblio») è fitta di riferimenti all'eroismo partigiano, alle malefatte nazi-fasciste (Marzabotto e Sant'Anna di Stazzema), ai momenti più intensi della battaglie contro il Male. Il legame emotivo con l'attualità è evidente. Anche oggi la poesia sente che è arrivato il suo momento. Forse è un progresso: la lotta politica passa dai versacci ai versi. Forse è un regresso: l'incapacità della lotta politica di pensarsi ed emozionarsi solo come scontro di civiltà tra due entità inconciliabili. O forse è solo uno sfogo, un sedativo poetico contro una sconfitta immedicabile. I «vecchi tamburi» però sono sempre quelli. Da battere ossessivamente. Ma si sa che, senza ossessioni, non può darsi grande poesia.
«Corriere della sera» del 26 novembre 2009

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