17 dicembre 2009

Guerra giusta o necessaria?

Il presidente Usa (e premio Nobel per la pace) Obama difende la possibilità, politica ed etica, di portare avanti conflitti
di Lorenzo Fazzini
Ma quando è moralmente legittimo combattere?
« Sono il comandante in capo di una nazione che sta facendo due guerre». È paradossale che un premio Nobel per la pace abbia pronunciato queste parole mentre riceveva – il 10 dicembre scorso – il prestigioso riconoscimento a Stoccolma. E il «caso» si infittisce davanti alla seguente affermazione di un premiato «pacifista» dall’Accademia di Svezia: «La guerra qualche volta è necessaria». Barack Obama rilancia la questione della «guerra giusta» da lui riletta strategicamente in «guerra necessaria». Lo è – sostiene il presidente americano – quella in Afghanistan, un conflitto «che l’America non ha cercato». Il paradosso è dunque servito: un Nobel per la pace che riabilita i conflitti giusti.
«Trovo l’intervento di Obama molto interessante perché costituisce il ritorno al realismo politico rispetto ad una precedente posizione di idealismo utopico». È positivo il giudizio di Paolo Sorbi, docente di Sociologia all’Università Europea di Roma. «Tale visione utopistica – prosegue Sorbi – non è positiva in questa situazione che esige l’assunzione della categoria nemico/amico visto che ci troviamo in una netta contrapposizione, con un terrorismo islamista fondamentalista che ha dichiarato guerra totale all’Occidente. Naturalmente, l’islam è ben altra cosa da questa eresia terrorista».
«Guerra necessaria? Obama si appella a una lunga tradizione cui appartengono nomi come Tommaso Moro». Adriana Cavarero, docente di filosofia politica all’università di Verona, non si stupisce del riferimento del capo di Stato Usa. Ma sposta l’attenzione su un aspetto («decisivo») lessicale: «Penso sia inadatto oggi il termine 'guerra', che è cambiato molto di senso. Da Omero fino all’inizio del Novecento, questa parola indicava uno scontro tra eserciti, cioè fra professionisti delle armi. L’incidenza di vittime tra la popolazione civile era minima.
Poi, con i due conflitti mondiali, ma ancora di più in Vietnam, Iraq e Afghanistan, il 98% delle vittime di una guerra sono diventate civili». Lo sosteneva anche don Lorenzo Milani nella celebre Lettera ai cappellani militari in cui esaltava l’obiezione di coscienza. Per Cavarero, che su tali temi ha scritto il volume Orrorismo (Feltrinelli), «non è corretto chiamare guerra quella che oggi viene condotta da professionisti della distruzione, perché qui si agisce con armamenti ultra-specializzati contro la gente. 'Guerra' è un concetto da ripensare: anche il filosofo Michael Walzer, che sostiene Obama, pensa al conflitto come scontro tra due eserciti: ma non avviene più così».
Il politologo Vittorio Emanuele Parsi, professore di Relazioni internazionali nell’Università Cattolica di Milano, plaude all’inquilino della Casa Bianca: «Tra guerra 'giusta' e 'necessaria' vi è un miglioramento concettuale: la prima ha fatto moltissime vittime, la seconda è più vicina a von Clausewitz che diceva che la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi. Questa visione considera le armi come l’ultimo degli strumenti di difesa». Secondo Parsi «il discorso di Obama è chiaro: parla della gloria dei soldati ma ribadisce che la guerra non è gloriosa. Dice che la guerra è necessaria ma che è espressione della follia umana. Egli riporta il discorso nell’alveo della tradizionale politica estera americana, che si radica nel pensatore Reinhold Niebuhr, autore di Uomo morale, società immorale ( Jaca Book). Obama ha riconosciuto che non c’è nulla di naïf in Martin Luther King e Gandhi, ma lui, in quanto comandante in capo, deve affrontare il mondo così com’è». Quindi, sostiene ancora il politologo della Cattolica, «la posizione di Obama è abbondantemente condivisibile. Solo la forza militare americana ha garantito la pace durante la Guerra fredda o evitato stragi, come in Kosovo. La tesi di Obama è espressione di una cultura intelligente, mai banale. Si torna alla tradizione rispetto alle posizioni più ideologiche del primo Bush».
Obama ha tradito i pacifisti? «L’interrogativo c’è, il suo richiamo alla 'guerra necessaria' lascia perplessi», risponde Severino Saccardi, direttore del mensile Testimonianze fondato da padre Ernresto Balducci. «Anche la teologia esclude questo concetto perché i conflitti son sempre fonti di ingiustizie.
L’unica situazione in cui vengono giustificati – Obama cita tale caso – riguarda la lotta contro dittatori quali Hitler. Anche don Milani sosteneva che l’unica guerra giusta era la resistenza al nazifascismo. Su questo aveva torto Gandhi mentre gli Alleati avevano ragione».
Saccardi punta il dito sul fatto che Obama giustifichi l’azione militare in Afghanistan tralasciando la politica: «Laggiù manca la lotta alla corruzione, la promozione di una vera democrazia, il rispetto della popolazione. Resto perplesso perchè il presidente ha tralasciato l’aspetto simbolico del Nobel: a Stoccolma, invece della guerra, doveva parlare di pace». Ma dove oggi un pacifista potrebbe ammettere la guerra giusta come l’intendeva don Milani? «Un’azione per mettere in salvo le popolazioni del Darfur sarebbe un intervento doveroso – replica Saccardi –. Lì c’è gente che rischia un genocidio: in Ruanda la comunità internazionale stette a guardare».
E la Chiesa? Come si pone il concetto di 'guerra giusta' nella dottrina sociale cattolica? «Non basta dirsi pacifisti e contro la violenza per essere costruttori di pace. Questo perché non è sul piano astratto delle affermazioni di principio di un bene, come la pace, che si garantisce di fatto il bene».
Prende il ragionamento alla larga monsignor Mauro Cozzoli, ordinario di teologia morale alla Pontificia Università Lateranense di Roma. «Ci muoviamo infatti non in un ordine di esistenza – un paradiso – in cui i beni si danno nella loro purezza ideale, ma in un ordine terreno in cui devono essere perseguiti nella misura del possibile. Altrimenti si cade in una visione ingenua che fa il gioco degli aggressori e si ritorce a danno del bene comune, dove a subirne i soprusi sono gli indifesi».
Il ragionamento della Chiesa, invece, rimarca Cozzoli, si focalizza sul 'bene comune' di cui «fanno parte tanti beni come la vita, il diritto, la libertà, da difendere da ogni aggressione».
Il teologo pugliese spiega così la posizione della Chiesa, rifacendosi al Catechismo (articoli 2307-2312): «La prima forma di difesa dev’essere nonviolenta. Nell’insuccesso di questa si può ricorrere alla difesa violenta, anche alla guerra, ma con mezzi che non procurino mali più gravi di quello da eliminare. Il che esige un rigoroso discernimento dei mezzi bellici». Dunque, la visione cattolica resta l’'et et': «È legittimato il ruolo dei militari, servitori della sicurezza, ma non è messa in discussione la forza profetica della nonviolenza».
«Avvenire» del 17 dicembre 2009

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