23 dicembre 2009

Mare e povertà, Malavoglia al cinema: "Una saga sui ragazzi del Sud di oggi"

Pasquale Scimeca racconta la pellicola ispirata al capolavoro di Verga
di Claudia Morgoglione
A 61 anni dal film di Visconti, una trasposizione tutta siciliana del romanzo. "Avevo paura del confronto con lo scrittore e con Luchino, ma poi..."
Saga familiare tragica, storia siciliana di pesca e di morte, di gente povera e destini infami. Capolavoro assoluto della nostra letteratura, presenza immancabile nelle librerie degli italiani, lettura (obbligatoria) per la stragrande maggioranza degli studenti liceali. Ma I Malavoglia di Giovanni Verga è anche qualcosa di diverso: una suggestione costante per il cinema, una sfida a tentare la trasposizione per il grande schermo.
A cimentarsi con questa epopea dei vinti, è stato in passato un grande come Luchino Visconti, che col suo La terra trema (1948) ha contribuito a far nascere il neorealismo. Mentre adesso, 61 anni più tardi, ci riprova un regista siciliano, Pasquale Scimeca: uno che i poveri della sua terra li ha già raccontati in Placido Rizzotto e che da un racconto di Verga ha tratto un'altra pellicola, Rosso Malpelo. "Il mio Malavoglia - spiega lui al telefono da Portopalo, nel siracusano, in una pausa delle riprese - è ambientato ai giorni nostri, e vuole raccontare gli umili, gli ultimi: i giovani di questo Sud senza prospettive, ma anche gli immigrati che sbarcano qui da un Sud ancora più profondo".
Allora, Scimeca: come nasce la voglia di cimentarsi con un'opera letteraria così nota e così impegnativa? "E' un pensiero antico, da lettore ho sempre avuto una passione per Verga e per questo libro, che si è rafforzata ai tempi dell'università. Ma avevo timori: sia perché parliamo di un capolavoro, sia per il raffronto con La terra trema di Visconti. Alla fine però ho deciso di fare questo film perché ho trovato la chiave di lettura: non di tipo verista, ma metaforico, tragico. La storia di una famiglia attuale di pescatori che si trova a vivere una condizione difficile".
La storia dei Malavoglia abbraccia diverse generazioni: da quella ormai al tramonto di Padron 'Ntoni a quella dei nipoti. Lei che punto di vista ha scelto di privilegiare?
"Sicuramente quello dei ragazzi. Sono loro che cercano di uscire dalla propria condizione. Scontrandosi in primo luogo col destino. Poi con una società che vuole i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. E poi con la loro incapacità di affrontare la vita: dovuto alla loro ignoranza, ma anche al loro essere velleitari. Io credo che questa sia davvero la condizione dei ragazzi del Sud: gente molto diversa dai liceali borghesi romani o milanesi che vediamo di solito al cinema".
Come mai ha scelto Portopalo - invece della Acitrezza del libro - per l'ambientazione? "Perché, con Lampedusa, è il punto più meridionale del nostro Paese, e anche il punto di arrivo degli immigrati".
A proposito: nella sua trasposizione uno dei personaggi, Alfio, è proprio un immigrato... "Sì: è un carrettiere, qualcuno che per definizione non si sa da dove viene né dove andrà. Lo interpreta un immigrato che davvero è arrivato clandestinamente nel nostro Paese, e che dopo molte lotte è riuscito a ottenere il permesso di soggiorno".
Anche il resto del cast è composto da non professionisti? "Sì, è stata una scelta che ho fatto fin dall'inizio. E poi non è vero che sono più difficili da gestire, che comunque hanno volti troppo noti per poter davvero 'sparire' nei personaggi. Stavolta non ho fatto nemmeno i provini: non cercavo interpretazioni, ma caratteri. Ad esempio, l'uomo che interpreta Padron 'Ntoni è un vecchio pescatore".
A che punto siete con le riprese? "Siamo alla quinta delle sei settimane previste: dovremmo finire tra pochi giorni".
E l'uscita nelle sale? Questo dipenderà dai produttori e dal distributore (che è il Luce): per quanto mi riguarda, credo che sarà pronto a marzo".
Che reazione si aspetta dal pubblico? "Io mi auguro soperattutto che chi va a vedere il film, giovane o meno giovane che sia, tornando a casa dopo il cinema abbia voglia di riprendere in mano il romanzo. Questo a me basterebbe".
«La Repubblica» del 21 dicembre 2009

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