16 dicembre 2009

Perché le chiacchiere su Facebook sono come quelle in ufficio

I blogger spiegano il flusso delle parole dalla rete alla realtà
di Marianna Venturini
Il potere di un click: chiunque si può iscrivere a un gruppo, sostenere un personaggio o una proposta, manifestare il proprio pensiero, commentare, inneggiare, chiedere la pena di morte, idolatrare. Nelle ultime ore i commenti a sostegno o contrari all’aggressore di Silvio Berlusconi, Massimo Tartaglia, si sono moltiplicati su Internet, soprattutto su Facebook. Una guerra di numeri, cifre, battaglie più o meno concrete che hanno attirato l’attenzione, dividendo i partecipanti in tifosi e provocando anomalie. Come l’episodio del cambio di nome di alcuni gruppi, a uso e consumo degli amministratori che senza informare gli iscritti li hanno trasformati in sostenitori di una causa diversa.
Per il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, “c’è stato un vero e proprio inneggiamento alla violenza sul Web”. Il titolare del Viminale ha detto che “se sarà il caso” già nel Consiglio dei ministri del 17 dicembre sarà esaminata l’approvazione di norme più incisive contro l’apologia di reato e l’istigazione alla violenza attraverso Internet. La procura di Roma ha aperto un fascicolo, ipotizzando il reato di istigazione a delinquere nei riguardi di due gruppi di discussione di Facebook che hanno pubblicato le frasi “Berlusconi a morte” e “10-100-1.000 Massimo Tartaglia”.
Parlando con il Foglio il giornalista Luca Sofri, che cura il blog Wittgenstein, dice che “sono le teste e non i luoghi a creare un pensiero”. Sofri spiega come “in rete avvengano i fenomeni più diversi, ma sarebbe sbagliato considerarli estranei al reale. Il Web offre spazi maggiori e più visibilità ai partecipanti. Facebook in particolare riproduce il mondo di prima all’interno del nuovo contenitore che attrae anche chi ne è estraneo”. Ne è convinto pure Piero Macchioni, conosciuto in rete come Leibniz, che dice: “I commenti in Internet non sono diversi da quelli che si sentono per strada. E’ uno spazio per le idee, ci sono quelle buone e quelle cattive”. L’intelligenza, quindi, è in chi legge dall’altra parte dello schermo, perché “deve saper distinguere tra il gioco e la serietà”. In complesso, però, “si è discusso di quello che è successo a Berlusconi in Internet come in ufficio, con gli stessi toni e le stesse battute”. Per Giovanni Fontana del blog Distantisaluti, nei social network “le persone si presentano con il proprio nome e cognome” e per quanto l’identità possa essere falsa o camuffata “c’è molta più responsabilità rispetto a cinque anni fa”. Stefano Andreoli, che cura il blog Spinoza, dice: “Quando le persone scrivono in rete resta traccia del loro pensiero. Non è una semplice chiacchierata al bar tra amici”. Dunque un livello superiore di comunicazione: “E’ il deposito di qualsiasi pensiero. La cassa di risonanza è enorme, raggiunge chiunque in ogni luogo”.
«Il Foglio» del 15 dicembre 2009

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