17 dicembre 2009

Se un gene facesse vedere la vita in rosa

Un romanzo «profetico» di Richard Powers
di Matteo Persivale
C'è grande valore in tutti i modi di usare la disperazione. Essa ci tiene vivi, allerta, al lavoro. Ci fa continuare a cercare di diventare migliori
La donna più felice del mondo è algerina, ha ventitré anni, studia in un'università americana e si chiama Thassadit Amzwar. Nella sua giovane vita ha già dovuto attraversare una lunga serie di tragedie - la guerra civile, il brutale omicidio di suo padre, la morte di sua madre, la povertà, lo sradicamento, l' emigrazione. Ma nonostante tutto Thassa sorride e trova la forza di scherzare, di sorridere, di rincuorare gli altri, i compagni di classe al piccolo e sgangherato Mesquakie College of Art, con una parola gentile o uno sguardo di complicità. Resiste e supera con coraggio e forza d' animo perfino a un tentativo di stupro: Thassa, inseguita dalle Furie avrebbero detto gli antichi, non è al sicuro neppure nel suo nuovo Paese, nella sua nuova vita. Così il suo humour e la sua capacità di vedere sempre la speranza di una vita migliore l' hanno resa famosa in tutto il mondo: perché la diagnosi iniziale per tutti quei sorrisi - «ipertimia», un eccesso di allegria che aveva fatto pensare ai medici che fosse affetta da una malattia mentale - è stata smentita dalla scienza del Dna. Thassa, semplicemente, è portatrice del gene della felicità. Porta dentro di sé, nel suo genoma, in quella sequenza di miliardi di mattoncini, la capacità di resistere alla tristezza, al dolore. È, letteralmente, felice dentro. La prova vivente che la scienza, isolato e riprodotto quel gene, potrà finalmente cambiare il mondo una volta per tutte, in meglio: rendendoci tutti felici, per natura. La donna più felice del mondo non esiste. Nella realtà, almeno: Thassa è la protagonista del nuovo libro di Richard Powers, «Generosity», (304 pagine, pubblicato negli Stati Uniti da Farrar, Straus and Giroux; 25 dollari; in Italia sarà pubblicato nel 2010 da Mondadori). Il romanzo prevedibilmente ha riaperto il dibattito americano sulla «caccia» al gene della felicità. Facendo guadagnare a quello scrittore intellettuale considerato «difficile» perché sempre in bilico tra scienza, filosofia e letteratura - Il tempo di una canzone e Il fabbricante di eco (entrambi Mondadori), Galatea 2.2 (Fanucci) - un nuovo pubblico. E il cordiale, asciutto Powers - secco nell' eloquio un po' professorale come nel fisico da corridore - si è visto così interrogato a lungo, durante conferenze e «reading», da lettori interessati non soltanto al suo libro ma alla ricerca da lui svolta per documentarsi. Perché grazie alla rivista americana GQ che ha finanziato lo studio, Powers è soltanto la nona persona al mondo ad aver ricevuto la mappatura completa del genoma - una procedura complicatissima che costa sui duecentomila euro (quel che di solito viene fatto a chi chiede di indagare sulla propria predisposizione genetica a Alzheimer, infarti o ictus, e che costa qualche migliaio di euro è uno screening dello 0,02 - più o meno - del genoma completo). Dopo un prelievo di sangue in un' azienda biotech appena fuori Boston - un' area dove, per chi vuole misurare a orecchio la spaventosa fuga dei cervelli italiani, la nostra lingua viene parlata nelle strade e nei ristoranti con frequenza sconfortante, da bravissimi ricercatori che probabilmente non torneranno mai più nel nostro Paese - e duemila ore di lavoro umano e novemila del supercomputer (subappaltate in Cina), Powers ha scoperto il suo destino genetico. Predisposizione all' Alzheimer. Asma. Autismo. «E siamo soltanto alla lettera "A"», osserva sconfortato ma non senza un certo humour. Perché, per esempio, nel suo genoma compaiono anche ben dodici «varianti» associate con l' obesità. Peccato che Powers, cinquantaduenne di magrezza invidiabile, sia da sempre soprannominato «stecchino» da familiari e amici invidiosi della sua capacità di abbuffarsi senza alcuna conseguenza sul girovita. Ma con sollievo lo scrittore ha appreso di non avere nessuna variante di quelle davvero gravi, quei singoli geni che con la loro presenza indicano la quasi certezza di malattie che arriveranno nel futuro (prima di fare la mappatura del genoma, Powers aveva dovuto firmare una lunghissima liberatoria nella quale si impegnava a non fare causa al laboratorio se apprendere i risultati dell' esame lo avesse gettato nello sconforto e nella depressione). «Fino a qualche anno fa, pensavamo che la felicità stesse nell' accettare quel che la vita ci presentava davanti: facendo "buon viso a cattiva sorte" - ha spiegato Powers in un' intervista al Miami Herald - Ma la tecnologia è una continua tentazione: ci può portare a una nuova interpretazione di questa antica idea. Perché non forzare la mano al destino, e fare in modo che rimescoli le carte e ci serva un' altra mano, se la prima non andava bene? Che cosa cerchiamo davvero? La vita perfettamente strutturata, con una pillola diversa per risolvere ogni tipo di ansia? O cerchiamo un modo più profondo di comprendere cos' è la vita nel continuo confronto con il caso? Il pericolo, io credo, è quello di confondere la felicità con la gratificazione. Se davvero riuscissimo a isolare e riprodurre il gene della felicità, raggiungendo un livello superiore di contentezza, siamo sicuri che la nostra vita acquisterebbe più significato? Io credo di no. C' è grande valore in tutti i possibili modi di usare la disperazione. Essa ci tiene vivi, allerta, al lavoro. Ci fa continuare a cercare di diventare persone migliori di quelle che siamo». Non che Powers, da scienziato, non sia entusiasta delle possibilità che lo studio del genoma e la neuroscienza presentano davanti a noi. Semplicemente, da uomo di buon senso, non confonde la genetica con la filosofia. Facendo il tifo, sempre, per la ricerca onesta della verità, nei laboratori come nei nostri cuori. E da umanista innamorato del progresso, degli orizzonti aperti dalla mappatura - ancora nella sua infanzia, c' è tantissimo Dna cosiddetto «dormiente» del quale gli scienziati ancora non capiscono pienamente la funzione - ci ricorda però che la scienza è sempre un po' bambina. E Benjamin Franklin, osservando felice i primi palloni ad aria calda - antenati della mongolfiera - levarsi nel cielo, rispose socratico a chi gli chiedeva quale utilità avessero mai, così lenti e fragili: «A che cosa serve un neonato?». «Generosity» si conclude su una nota simile a questa: quando Thassa finisce allo show televisivo più popolare d' America - ispirato a quello di Oprah Winfrey e descritto con sorprendente occhio satirico e molto spiritoso dal solitamente più paludato prof. Powers - per insegnare a milioni di spettatori qual è la lezione da lei appresa grazie al prezioso gene della felicità. Ma la giovane donna - sarebbe ingiusto scendere nei particolari e rovinare il gusto della lettura a chi attende l' uscita del libro in Italia - in un colpo di scena astuto quanto emozionante, non elargisce all' America raccolta davanti allo schermo, e pendente dalle sue labbra, il facile buonumore consolatorio che da lei ci si attendeva. Perché il gene della felicità, se davvero c' è - il dibattito sulla sua possibile esistenza è ancora aperto - non è però il gene dell' immortalità. E la differenza è davvero tutta lì.

Richard Powers è nato il 18 giugno 1957. Laureato in letteratura inglese, ha lavorato per anni come programmatore finché nel 1983 è diventato scrittore a tempo pieno Bibliografia In Italia sono stati pubblicati i suoi romanzi «Tre contadini che vanno a ballare» (Bollati Boringhieri), «Il dilemma del prigioniero» (Bollati Boringhieri) «Galatea 2.2.» (Fanucci), «Sporco denaro» (Fanucci), «Il tempo di una canzone» (Mondadori), «Il fabbricante di eco» (Mondadori). «Generosity» uscirà nel 2010 da Mondadori
«Corriere della Sera» del 13 dicembre 2009

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