24 dicembre 2009

Vite spostate

di Massimo Gramellini
Ma perché non restano a casa loro? Penserà qualcuno, osservando la foto delle moltitudini che danno l'assalto ai treni ghiacciati delle Feste: migliaia di persone disposte, pur di mettersi in viaggio, a sopportare o a compiere qualsiasi sopruso. La risposta è abbastanza spiazzante: perché casa loro non è il luogo da cui partono, ma quello in cui cercano di arrivare. Distratti dall'epica moderna delle metropoli e dei social forum, ci eravamo dimenticati che l'Italia rimane un Paese di emigranti che per sopravvivere hanno dovuto crescere lontano dalle radici, di mammoni che sentono la mamma dieci volte al giorno ma la vedono una volta l'anno: a Natale.
Il ritorno a casa dell'eroe, coacervo di sensazioni malinconiche che oscillano fra il ricordo dell'antica appartenenza e il sospetto di una sopraggiunta estraneità, è un meccanismo della natura. E come tale, anche quando sembra illogico, si perpetua inesorabile. Non esiste animale capace di sottrarsi al richiamo della tana. Non esiste pericolo o disagio che possa fermare questa corsa al contrario verso l'utero da cui si è usciti. E' un bisogno dell'anima. Certo, se Natale cadesse d'estate come in Australia, tutto suonerebbe meno poetico ma maledettamente più comodo.
«La Stampa» del 24dicembre 2009

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