18 gennaio 2010

Totalitarismo digitale

Jaron Lanier dice che l’ideologia collettivista di Internet genera mostri, ma si rivela un po’ elitario
di Christian Rocca
Se uno dei pionieri della rete come Jaron Lanier comincia a dubitare di Internet, come ha scritto domenica il Sole 24 Ore, vuol dire che è giunto davvero il momento di fare una riflessione seria sul World wide web. La tesi di Lanier, contenuta nel libro uscito martedì in America con il titolo “You are not a gadget”, è super pessimista. Lanier non è un luddista, è un mago della realtà virtuale, adora Internet, ma riconosce che la rete genera mostri, a causa del modo in cui è stata progettata e delle scelte che sono state fatte quando è stata lanciata la rivoluzione del 2.0.
L’anonimato, soprattutto. Ma anche la glorificazione del lavoro collettivo (Wikipedia e open source) e il mantra sull’informazione gratuita. Secondo Lanier, sono elementi che minacciano la creatività individuale, esaltano il peggio della società e alimentano comportamenti odiosi (“la meschinità della folla”) sui blog, sui forum e sui social network. Internet è diventato un luogo ispirato a una specie di “maoismo digitale”, a un totalitarismo cibernetico che nega al popolo di “nuovi contadini” la specificità della persona, riduce l’enfasi sull’individuo e cerca addirittura di renderlo obsoleto rispetto agli avanzatissimi computer.
Secondo Lanier, se non si cambia la struttura ingegneristica di Internet, se non si combatte contro l’ideologia collettivista che lo permea e se non si introduce un sistema universale di micropagamenti, i rischi sono enormi, anche di una rivoluzione di tipo fascio-marxista. Il problema è che i vecchi sistemi digitali sono chiusi, non riformabili, ed è troppo costoso ricominciare daccapo. Lanier ha molte ragioni, ma la tesi è un po’ elitaria. Là fuori il mondo è fatto così, a prescindere da Internet. Si chiama World wide web, non è il Mondo di Pannunzio.
«Il Foglio» del 10 gennaio 2010

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