18 febbraio 2010

«I vampiri? Io li amo ancora, ma dopo cinquant’anni non hanno più sangue da darmi»

di Luca Crovi
Ha rivoluzionato la letteratura vampirica. A partire dal celeberrimo Intervista col vampiro (1976), Anne Rice ha costruito le sue «Cronache dei vampiri» con al centro delle storie l’affascinante Lestat de Lioncourt che riemerge ora, all’età di duecento anni, nelle pagine di Blood (Longanesi, pagg. 360, euro 18,60, da oggi nelle librerie), mentre medita sulla possibilità di essere santificato per le sue azioni. «Lestat - ci spiega la Rice - è sempre stato dipinto come un santo, un essere eroico. E lui in un certo senso lo è sempre stato. Da ragazzo voleva essere un santo, un buono, un monaco. Ma il mondo ha cercato di impedirglielo. Così è diventato a modo suo una rockstar. Se fosse un santo sarebbe sicuramente il più grande mai arrivato in Paradiso».
Quanto è cresciuto nel tempo?
«Il suo carattere si è evoluto e sono rimasta anch’io sorpresa dalla sua capacità di sopravvivenza. All’inizio era solo un personaggio, ma poi si è impossessato di me. È il mio eroe definitivo. È forte, sopravvive a tutto, ed è assetato di verità. Ha molte passioni e un selvaggio senso dell’umorismo».
Che ne pensa del musical che gli è stato dedicato?
«Ho adorato Lestat, the Musical. Ha colto in pieno lo spirito del personaggio. Mi è spiaciuto che sia durato così poco a Broadway. Lo hanno criticato ingiustamente».
Le è piaciuto l’omaggio di Sting?
«Moon Over Bourbon Street mi ha onorato».
E del film Intervista col vampiro con Tom Cruise e Brad Pitt cosa ricorda?
«Ho amato profondamente il film di Neil Jordan. C’è stato un grande sforzo produttivo ed è ricco di elementi originali. Sono grata a tutti quelli che hanno reso possibile quel progetto, a partire dal produttore David Geffen».
Che cosa leggeva da piccola?
«Mi piacevano molto le storie legate alla mitologia greca, e solo occasionalmente ho letto favole. Mi affascinavano molto anche le vite dei santi».
Di che cosa aveva paura?
«La morte. La paura di terminare l’esistenza per sempre».
Qual fu il suo primo «contatto» con i vampiri?
«Verso la fine degli anni ’40 vidi il film Dracula’s Daughter, con Gloria Holden. Mi innamorai della figura tragica e tormentata del vampiro. Molti anni dopo scrissi Intervista col vampiro proprio per meditare sulle domande fatte nascere in me da quel film. Non ho mai letto né Le Fanu, né Stoker prima di cominciare a scrivere la mia saga, mi bastava il ricordo di certi film per avere un’idea di come sviluppare la mia idea di vampiro. Più tardi, leggendo Carmilla di Le Fanu rimasi colpita dalla sensualità della storia e scoprii che la sessualità polimorfa è tipica dei vampiri».
Come si spiega il successo di quelle creature della notte?
«La loro concezione è complessa: comprende l’essenza di un uomo che da mortale diventa immortale, un mostro che nasconde la sua forma umana, un essere sovrannaturale con un cuore umano e che sente amore e paura. Con un modello così ricco di aspetti la letteratura non poteva che costruire per anni personaggi sempre nuovi e ricchi di suggestioni».
È vero che lei non scriverà più storie di vampiri?
«Sì, ho smesso definitivamente. Credo di aver detto tutto ciò che avevo da dire su di loro. Ho esplorato le loro metafore e idee, credo che non potrei spingermi oltre».
Come giudica il fenomeno Twilight?
«Non ho letto i romanzi, ma ho visto i primi due film della saga e penso che siano perfetti per i teenager. Sono divertenti, contengono interessanti variazioni sul carattere dei vampiri, ma non fanno per me. Ho scritto cose differenti usando i miei personaggi. Non posso però immaginarmi un vampiro che viva per l’eternità in un college americano quando potrebbe vivere a Parigi, Roma, Gerusalemme, Tokyo, Venezia o Vienna...».
«Il Giornale» del 18 febbraio 2010

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