18 febbraio 2010

Irregolari e conformisti

E quelli che stanno a guardare. Alcune riflessioni e un consiglio a Pierluigi Battista
di Eugenio Scalfari
Pierluigi Battista ha scritto un libro impegnativo fin dal titolo. L'ha pubblicato qualche settimana fa la Rizzoli. Si chiama 'I conformisti. L'estinzione degli intellettuali d'Italia'; 213 pagine dense di nomi, giudizi storici politici morali. I conformisti, o per esser più esatti gli intellettuali conformisti, sono quelli arruolati sotto una bandiera ideologica che hanno difeso a dritto e a rovescio anche a prezzo di dover ignorare la realtà dei fatti e quindi la verità. All'opposto dei conformisti ci sono, secondo l'autore, gli 'irregolari'. Sono quelli che hanno viceversa privilegiato la ricerca della verità anche a costo di dover abbandonare l'ideologia sotto le cui bandiere avevano fin lì militato. È ovvio che la simpatia dell'autore vada agli irregolari. Ed anche la simpatia del lettore, a cominciare dalla mia. Posto il problema come lo pone l'autore, da una parte chi cerca liberamente la verità e dall'altra chi la occulta per favorire la propria bandiera, non c'è gara possibile: stiamo tutti coi veritieri e contro i falsificatori.
Ma Pigi (è così che lo chiamano gli amici e così lo chiamai anch'io quando lo conobbi che aveva meno di diciott'anni) scopre l'esistenza di una terza categoria d'intellettuali: quelli che hanno fatto dell'irregolarità un abito mentale permanente: non hanno appartenenze da difendere, quindi sono irregolari in servizio permanente effettivo. Cercano la verità dei fatti e poi, di volta in volta, si dichiarano per la parte verso la quale li porta il vento della verità. Si tratta d'un vento alterno, a volte viene dal Sud, a volte dal Nord o da altri punti cardinali. Il proprio degli irregolari permanenti consiste in questa loro capacità di orientarsi nella rosa dei venti. Rappresentano la freccia che segnala il vento della verità su quel problema, su quella tesi, su quei fatti. Sono gli unici veri intellettuali degni del nome. Purtroppo ce ne sono rimasti pochi. Ovviamente Pigi è uno di loro. Ha scritto un bel libro, Pierluigi Battista, scorrevole, rievocativo, ma anche attuale. Racconta a larghe pennellate ciò che è accaduto nel
Novecento, nella storia delle idee e delle ideologie dall'ultima guerra fino ai nostri giorni. Un bel libro completamente di parte, camuffato da libro imparziale. Ma conoscendo Pigi metto la mano sul fuoco affermando che l'autore non è affatto consapevole di aver camuffato la parzialità. Lui è convinto della tesi che sostiene. Perciò - come si dice - è in perfetta buona fede. Se c'è un peccato, un difetto, qualche lacuna nel suo ragionamento, si tratta di pecche colpose ma non dolose. Il che tuttavia non ne diminuisce ma semmai ne aumenta la pericolosità.
Vediamo dunque dove si annidano quelle pecche, partendo dai personaggi che rappresentano i punti di riferimento etico e politico dell'autore. I più importanti sono Albert Camus, George Orwell, Simone Weil, Georges Bernanos. Scelsero la verità e non tennero conto dell'appartenenza, anzi abbandonarono l'appartenenza originaria. I primi tre, in omaggio alla verità, abbandonarono la sinistra. Bernanos, che era un cristiano monarchico, lasciò cadere l'appartenenza monarchica ma non certo quella cattolica quando vide i massacri fatti dai franchisti nella guerra civile spagnola. Sono nomi di tutto rispetto, ai quali ne vengono affiancati altri, come Gide e Koestler, anch'essi passati dal comunismo all'anticomunismo. Ci furono anche trasferimenti dal fascismo alla sinistra, ma questi non mi pare abbiano incontrato il favore dell'autore. Ed a ragione: preferire un totalitarismo ad un altro significa soltanto modificare l'ordine dei fattori: il prodotto non cambia. Dov'è allora la pecca di Battista? Ne vedo un paio e mi permetto di segnalargliele.
La prima consiste nell'aver ristretto la questione al periodo della guerra fredda ed aver puntato l'obiettivo tra l'appartenenza all'ideologia comunista (conformismo) e la rottura con essa in nome della verità (irregolari). Non è uno schema e quindi semplicistico ridurre la realtà a due alternative? C'erano terze e quarte vie. Allora, forse, velleitarie data la brutalità dello scontro. E poi perché limitarsi agli intellettuali? Gli operai, i docenti, che dichiaravano di sentirsi comunisti non si esponevano a rappresaglie? Non venivano licenziati in tronco, non erano costretti a cambiar lavoro, sede, tenore di vita, a me non pare che possano definirsi conformisti quelli che affrontarono questo tipo di battaglia.
La seconda pecca riguarda gli irregolari permanenti, quelli che giudicano all'inglese, come si dice con molta approssimazione; caso per caso. Senza mettersi l'elmetto. Questa frase mi ha fatto drizzar le orecchie: è quella incessantemente ripetuta dal giornale sul quale Pigi scrive, anzi del quale è vicedirettore. Se si va a passeggiare in aperta campagna o sulla spiaggia o in giro per musei e cinematografi nella propria città e ci si mette in testa un elmetto, allora ci si merita di esser ricoverati per disturbi mentali. Ma se ci si trova in battaglia e sotto il fuoco avversario, non mettersi l'elmetto è da incoscienti. C'è un'altra ipotesi: la battaglia c'è, chi la combatte porta l'elmetto, chi non la combatte sta appollaiato in un lontano osservatorio (naturalmente senza elmetto) e aspetta di vedere a chi andrà la vittoria. Se tra i combattenti c'è una parte più forte e più armata dell'altra, quelli che osservano dall'alto registrano inevitabilmente il vento del potere e vorrebbero che i più deboli si levassero l'elmetto e li raggiungessero nell'osservatorio. A quel punto la battaglia sarebbe stata vinta dal potente di turno. Sono questi gli irregolari? A me non pare. Questo tipo di irregolari sono i veri conformisti.
Questi miei pensieri avevo deciso di tenerli per me, in fondo Pigi è un vecchio amico. Ma poi ho letto la lettera che Beniamino Placido scrisse alla figlia Barbara nel 1990, pubblicata da 'Repubblica' l'8 febbraio . Dove spiega che cosa fu il partito d'Azione. Chi furono i suoi eroi. Anticomunisti che combatterono insieme ai comunisti contro la dittatura nazifascista. Che fecero anni e anni di galera. O furono ammazzati dai fascisti. E seguirono il loro motto di 'non mollare', che significava continuare a tenersi l'elmetto in testa. Vorrei che Pigi leggesse la lettera di Beniamino. E ne cavasse qualche insegnamento e qualche eventuale autocritica sul suo modo di pensare la storia.
«L'Espresso» del 11 febbraio 2010

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