26 marzo 2010

Al fast food del giornalismo precotto i fatti non hanno più diritto di parola

Le intercettazioni e il primato della fuffa
di Francesco Cundari
L’uso delle intercettazioni telefoniche da parte della magistratura e della stampa rappresenta da anni uno scandalo quotidiano semplicemente intollerabile per chiunque abbia a cuore non solo l’ordinamento democratico e lo stato di diritto, ma soprattutto la coscienza civile del paese. E forse non è nemmeno il problema principale. E’ evidente che nella maggior parte dei casi le intercettazioni non vengono usate come mezzo per arrivare alla prova, per seguire le mosse del sospettato, trovare riscontri alle accuse contro di lui, magari persino coglierlo in flagrante. Se così fosse, il mantenimento del segreto almeno fino alla conclusione delle indagini sarebbe primario interesse dell’accusa, e si può scommettere che ai giornali non arriverebbe una riga. Ma è molto più comodo raccogliere chiacchiere a casaccio, sufficienti comunque a ottenere l’autorizzazione all’arresto da qualche gip compiacente, contando sulla ragionevole ipotesi che l’indagato, una volta sbattuto in carcere e sputtanato a dovere su stampa e tv, crolli, confessi tutto il confessabile e così risparmi agli inquirenti la dura fatica di andarsi a cercare le prove attraverso lunghe e noiosissime indagini. Il problema è che per procedere in questo modo le intercettazioni non sono affatto indispensabili: le accuse di testimoni più o meno attendibili, volendo, bastano e avanzano. Il peso che ultimamente hanno assunto le intercettazioni è dunque la conseguenza del problema, non la causa. Il problema è il primato delle chiacchiere su fatti, documenti e circostanze concretamente verificabili. E la causa è molto più difficile da individuare, anche perché non si tratta di un problema che tocchi solo la giustizia.
Basta sfogliare i giornali, dagli interni agli esteri, e guardare i titoli: un’infinita serie di La Russa-due-punti, Obama-due-punti, Il Papa-due-punti. L’effetto è sempre lo stesso. Vale per la cronaca politica, e non solo, quello che vale per la cronaca giudiziaria: dopo avere letto per giorni l’infinita serie di dichiarazioni di quelli che annunciano l’una o l’altra riforma, poi le dichiarazioni di quelli che la criticano, quindi le repliche dei primi, e così per ogni e qualsiasi tema attraversi il dibattito pubblico, ogni santo giorno, risulta semplicemente impossibile ricordare se alla fine la legge in questione sia stata approvata, respinta, rinviata, e quale sia a oggi la normativa effettivamente in vigore. E risulta impossibile anche perché spesso i primi a non saperlo sono proprio i giornalisti. Anche per loro, come per i magistrati sempre più dipendenti dalle intercettazioni, è molto più comodo limitarsi a riportare le dichiarazioni di questo e di quello, piuttosto che prendersi la briga di andare a vedere come stiano le cose, studiare le carte, sforzarsi di capire. E soprattutto, a quel punto, assumersi la responsabilità di una sintesi. Il titolo Bersani-due-punti è molto meno impegnativo, ed è a prova di bomba, basta accertarsi che Bersani abbia effettivamente detto quelle cose. E il fatto che sempre più spesso non si verifichi più nemmeno questo non smentisce affatto l’assunto, ne è anzi l’ultima conseguenza, nella lunga discesa della deresponsabilizzazione e della dequalificazione, al fast food del giornalismo precotto.
Persino le notizie economiche, ormai, vengono spacciate allo stesso modo. E si capisce: altrimenti, come si potrebbe affermare un giorno che siamo nel pieno della crisi, il giorno dopo che siamo ripartiti alla grande e quello dopo ancora che la crisi non accenna a finire? La soluzione è sempre quella: Bankitalia-due-punti, Trichet-due-punti, Ocse-due-punti. Per non parlare delle notizie “scientifiche”, diciamo così, che consentono di annunciare un giorno la grande scoperta di due ignoti studiosi sulla pillola che rende immortali e il giorno dopo l’eccezionale ricerca sul gene responsabile dell’impulso a lasciare l’auto in seconda fila.
Con tutto questo, ovviamente, non si vuole sostenere che bisognerebbe proibire le intercettazioni, che i politici non dovrebbero rilasciare dichiarazioni o che i giornali non dovrebbero riportarle. E’ una questione di equilibri. Questo è il problema, una specie di perversa specializzazione produttiva del paese. Quanto alla causa di questo oscuro fenomeno – che provvisoriamente potremmo definire il primato della fuffa – per affrontarla sarebbe necessario un discorso molto più lungo, e forse ancora più necessari, a tutti noi, il tempo e la voglia di pensarlo.
«Il Foglio» del 25 marzo 2010

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