19 marzo 2010

La domanda di un Down che ci apre gli occhi

Un incontro e gli aborti diffusi
di Piero Benvenuti
L’Anno internazionale dell’astronomia, da poco concluso, ha dato la possibilità a molti di noi di verificare direttamente quanto sia vivo e diffuso l’interesse del pubblico, soprattutto dei giovani, per la scienza più antica.
Particolarmente gratificante è stato però constatare come l’interesse e l’entusiasmo degli ascoltatori crescessero quando ai risultati puramente astronomici, scientifici, venivano accostate considerazioni sull’ispirazione che il cielo stellato ha sempre generato nell’uomo, nelle sue espressioni artistiche e poetiche e nelle sue riflessioni filosofiche e religiose. È quanto è avvenuto recentemente in un incontro con circa duecento studenti dei licei classico e scientifico di una città della Puglia, i quali, dopo aver ascoltato con grande attenzione una rapida carrellata sulla storia dell’astronomia, segnata dalle pietre miliari delle osservazioni di Galileo del 1610 e dell’avvento dell’astronomia spaziale nell’ultimo mezzo secolo, si sono quasi sfidati tra loro nel porre domande, sia scientifiche che umanistiche, dimostrando non solo il loro genuino interesse, ma anche una solida ed ampia preparazione culturale. Due ore sono volate in un attimo e si è arrivati alla fine al classico « c’è tempo per un’ultima domanda » . Si alza una mano dal fondo: è quella di Umberto (nome di fantasia), un ragazzo Down che avevo notato entrare in compagnia del suo insegnante. Senza esitazioni e con proprietà di linguaggio mi dice: « Lei ci ha mostrato come è fatto l’Universo, con le sue stelle e le galassie, e ci ha spiegato la sua evoluzione nel tempo, ci può ora dire perché esiste? » . Per un attimo rimaniamo tutti come fulminati: dopo tante domande dotte ed elaborate, ecco che la più spontanea e la più terribilmente difficile, quella che tutti avevamo nel profondo dell’animo e non osavamo esprimere, ci viene posta da uno studente di quelli che non sempre trovano vita facile. Dissimulando l’emozione, rispondo brevemente, sicuro che proprio lui, Umberto, mi può capire più di ogni altro. Mentre parlo mi si affollano nella mente le notizie recenti, non tanto la scellerata vicenda del sito di Facebook contro i ragazzi Down, sin troppo facile da condannare ed isolare, quanto la dura realtà delle statistiche che dicono come il 90% dei nascituri individuati come portatori di Trisomia 21, vengano legalmente eliminati. Per qual motivo? La legge permette l’aborto terapeutico quando il feto presenti anomalie che, una volta nato, possano pregiudicare la salute psichica della madre. Ma qual è l’attentato che può compiere un ragazzo come Umberto? Quello di porre domande esistenziali, indubbiamente difficili da risolvere?
Certo, molto meglio far nascere un bel bambino biondo dagli occhi azzurri, che si possa tranquillamente posteggiare davanti alla televisione e che, soprattutto, non si sogni di fare domande inquietanti che turbino la routine familiare! Le mie sono parole dure, forse offensive, ma se qualcuno possiede delle valide spiegazioni alternative all’aborto di massa dei nascituri Down, si faccia avanti: gli faremo rispondere da Umberto… Temo che nella sua lucidità ci direbbe che il problema non è lui, ma i nostri occhi impietosi, i nostri sguardi distolti dal fastidio del diverso, la nostra compassione ipocrita. Il macigno di quei nove bambini ogni dieci non nati, grava inesorabilmente su tutti noi. L’unica speranza, l’unica nota non triste viene nuovamente da Umberto: alla fine della conferenza sono andato a stringergli la mano per conoscerlo e complimentarmi con lui e osservandolo circondato dall’allegria e dall’affetto dei suoi compagni, felici e fieri che il loro amico ' diverso' avesse avuto il suo momento di notorietà, pensavo che se a loro, ai suoi compagni d’oggi, nella futura vita adulta venisse comunicato che il loro figlio è Down, non si angustierebbero, ma forse addirittura gioirebbero considerandosi dei ' privilegiati'.
«Avvenire» del 19 marzo 2010

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