20 marzo 2010

La piazza di tutti i giorni

di Massimo Gramellini
Con i tre cortei che oggi attraversano le strade della Capitale, il piazzismo mediatico raggiunge la sua apoteosi. Rossi, viola, azzurri, ne abbiamo visti marciare di tutti i colori. Tutti tranne uno: il verde Padania. Già, in questa campagna elettorale solo chiacchiere (intercettate) e distintivo (dell’autorità giudiziaria), gli unici a non andare in piazza sono quelli che ci stanno tutti i giorni. I leghisti. Gli ex rivoluzionari convertiti in ultimo bastione rassicurante per quella parte di popolo che ha smesso di credere nelle istituzioni della democrazia. Da quando la lotta politica è traslocata sull’etere e nei tabulati dei sondaggi, le piazze del sabato si sono trasformate in estemporanei set televisivi, televoti in carne e ossa, manifestazioni di massa in cui l’immagine diventa contenuto e il numero prevale sulla parola. Non il numero vero, naturalmente, ma quello percepito, cioè tirato in largo e in lungo come una tagliatella, chi dice ventimila, chi duecentomila, l’importante è che in tv non appaiano spazi vuoti.
La piazza del sabato è spettacolo rutilante ma fine a se stesso, è un circo che pianta le tende con grande frastuono ma nella notte si è già dissolto nel nulla, lasciando un effimero ricordo di sé soltanto nei sondaggi. Poi c’è la piazza di tutti gli altri giorni, quella che non si rosola al sole delle telecamere, ma pulsa di vita quotidiana. La piazza dell’anziana ansiosa che non ha i soldi per pagare la luce, oppure li ha ma non sa come compilare il bollettino. La piazza dell’imprenditore furibondo che ha perso un affare perché il treno lo ha depositato all’appuntamento con un ritardo di due ore. E tante altre piazze: spaventate, egoiste, bisognose. I partitoni non le ascoltano. Non hanno più l’organizzazione, e la voglia, per farlo. La Lega sì.
Compila la bolletta dell’anziana e magari le dà una mano a trovare il denaro. Raccoglie la firma dell’imprenditore furibondo in calce a una petizione contro le ferrovie. Funge da sfogatoio, da sostegno, da guida. Fa politica, insomma. Con un ideale, discutibile ma reale, che le garantisce identità. E poi con una miriade di gesti pratici, diffusi e comprensibili da una massa confusa e sfiduciata. Ha riposto il piccone delle origini. Non serve più. Le istituzioni si sono sgretolate da sole, si combattono e si delegittimano a vicenda, in un crescendo di comportamenti irrituali e scomposti. La Lega tace. Lascia parlare le escort e i faccendieri degli altri. Ha messo la sordina ai kalashnikov e al resto dell’armamentario bellico con cui era solita terremotare il suo lessico. Non attacca più neanche il Papa e il Capo dello Stato, dei quali sembra quasi ergersi a baluardo. E’ rimasta tradizionalista e popolare, ma è diventata anche rassicurante. Berlusconi e Bersani ne hanno entrambi paura. Forse cominciano a capire che le piazze del sabato portano punti nei sondaggi, ma le piazze di tutti i giorni portano voti.
«Avvenire» del 20 marzo 2010

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