23 marzo 2010

La poesia è di massa e la qualità migliora

s. i. a.
Mai titolo è stato veritiero e allo stesso tempo «strabiliante» quanto quello che domenica scorsa, sul Giornale, presentava l’ottimo articolo di Nicola Crocetti così: «La poesia? È un fenomeno di massa». Perché è proprio così. In riferimento, naturalmente, non ai fruitori (che sono, come sempre, pochi) ma agli autori. Ogni anno in Italia (ma non solo) esce un numero incredibile di raccolte. E io me ne sono accorto perché da undici anni curo una rassegna critica della poesia edita nel nostro Paese su Nuova Antologia. Una panoramica trimestrale per la quale ricevo una quantità di libri, ovviamente, molto superiore a quella di cui, per ragioni di spazio, posso occuparmi (e me ne dispiace).
Crocetti ha ragione su tutto il fronte: speculazione (a volte cinica) di editori o pseudo-editori, disinteresse della critica sui quotidiani, assenza di un mercato (a volte causata e/o aggravata dalla mancanza di una distribuzione), eccetera eccetera. Malgrado ciò tantissime persone continuano a scrivere e a pubblicare versi.
In questo quadro desidero osservare due o tre cose. La qualità media della poesia che si scrive in Italia è molto dignitosa e migliore di quella che chi, come me, sedeva in qualche giuria di premio letterario venti-venticinque anni fa, si trovava sotto gli occhi. E ciò, a prescindere dal livello dell’editore o dello stampatore che firma l’imprimatur. Inoltre occorre tener presente che oggi non sono più i grandi editori a pubblicare i poeti di valore perché ce ne sono molti medio-piccoli estremamente qualificati. Qualche esempio? Lo stesso Crocetti; e poi Jaca Book, Marietti, Marcos Y Marcos, Manni, Effigie, Aragno, Passigli, Quodlibet, Magenta, LietoColle tanto per dire i primi che mi vengono in mente (e mi perdonino i non citati).
Mi permetto infine di esprimere un’ultima opinione. Tanti tanti anni fa secondo me c’era un dislivello (qualitativo e quantitativo) che saltava facilmente agli occhi tra la poesia degli uomini e quella delle donne. Non che mancassero, sia chiaro, le poetesse di valore; ma la massa delle voci femminili si declinavano facilmente in toni retorici, sentimentali, a volte piagnucolosi; cui corrispondeva uno stile modesto. Oggi ciò non si nota più. Anche in questo campo – come in tanti altri della società – mi sembra che la parola poetica della donna sia salita molto di tono, non è più «riconoscibile» (per sottrazione) come diversa da quella maschile.
Quanto – e chiudo – allo sfruttamento che certi editori (o che si spacciano per tali) attuano ai danni di chi vuole stampare raccolte di versi, forse non sarebbe male prevedere, all’interno della legislazione per l’editoria, qualche paletto: per esempio il divieto di pubblicare libri di poesie per chi non diffonde almeno una percentuale predefinita della tiratura sul territorio nazionale; e magari una più attenta vigilanza fiscale.
«Il Giornale» del 22 marzo 2010

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