21 aprile 2010

Web tra magia e religione

Il digitale è un opportunità per le fedi e una tentazione di 'superomismo'. Parla De Kerckhove
di Andrea Galli
Chiesa e Web. In vista del con­vegno "Testimoni digitali", che si terrà a Roma la prossima set­timana, parla Derrick De Kerckhove, massmediologo di fama internazio­nale, già collaboratore di Marshall M­cLuhan, attualmente docente all’U­niversità Federico II di Napoli.
Professore, la Chiesa Cattolica ha sempre avuto un senso dello spazio molto forte. La sua struttura è fon­data sulle diocesi, entità territoriali, e sulle parrocchie, entità locali. An­diamo verso una complementarietà tra il territorio e la spazialità del web? O la seconda prevarrà, in un certo senso, almeno nelle aree metropoli­tane, le più mobili e fluide?
«Credo sinceramente che la comple­mentarietà tra materiale e virtuale, tra presenza e telepresenza sarà sem­pre necessaria e per tutte le dimen­sioni propriamente umane. Non so­no d’accordo con la teoria dell’'an­gelismo', benché proposta da M­cLuhan, che prevedeva una smate­rializzazione che ci avrebbe fatto tor­nare alla condizione dell’angelo, a­nima senza corpo. Non è vero e nem­meno possibile lasciare da parte il corpo. Nella grande confusione di media, di reti, di banche dati e di proiezioni che portano ovunque, la nostra identità e la nostra immagine – se non il nostro vero e proprio es­sere – sono legate al corpo, che resta il punto fondamentale di riferimen­to. Certo la relazione dell’uomo elet­trificato con lo spazio è quasi divina – un essere al centro ovunque, senza periferia – però l’uomo non di­viene puro spiri­to. Io vedo la spa­zialità del web come quella del­la mente. La Re­te è un spazio mentale esteso, condiviso, im­mensamente potenziato, però ancorato al cor­po. Precisamen­te, per contrasto con il punto di vista rinascimentale, chiamo 'punto d’es­sere' questa sensazione unica della mia presenza nel mondo. Di imma­gini ce ne sono tante, ma il corpo re­sta uno. L’uso dello spazio dipende dall’uso del corpo».
Si parla spesso del web come di un fattore diseducativo: che induce a u­na fruizione mordi e fuggi dei con­tenuti, a un’attenzione sempre più mobile e poco allenata alla concen­trazione e alla meditazione. Tutta­via col web milioni di persone sono entrate in una dimensione di lettu­ra costante. Col web 2.0 milioni di persone hanno iniziato a scrivere quotidianamente… non si sta in realtà attuando un processo unico nella storia, se non di introspezione, di fruizione intellettuale di massa? E una fruizione intellettuale attiva, mentre con tv, cinema e radio rima­neva una fruizione in un certo sen­so passiva?
«Sono assolutamente d’accordo con questa osservazione, che va nel sen­so di un’evoluzione veramente co­gnitiva della Rete, al contrario delle banalità che si ripetono a proposito di Wikipedia, dell’ignoranza dei co­siddetti 'nativi digitali' e così via. L’e­lettricità è nella sua fase digitale e re­ticolare, nella sua fase cognitiva, e la Rete è il suo sistema nervoso. Siamo entrati in un periodo intensamente cognitivo e per­sonalizzato at­traverso l’intera­zione multime­diale. Ed è vero anche che scri­viamo sempre di più. Ricordo con stupore la mia gelosia nei con­fronti di Voltaire quando studiavo la sua corrispon­denza in 107 vo­lumi di 350 pagine. Pensavo che mai avrei potuto scrivere tanto. Però ve­do dalla mia scrivania che in meno di due anni ho già scritto più di 6 mila e-mail e ne ho lette più di 20 mila. L’alfabeto è morto? Viva l’alfabeto! Detto questo è vero che la Rete non invita la gente all’introspezione, al contrario incoraggia l’estrospezione: il profilo su Facebook potrebbe dive­nire per tanti più pertinente nel de­finire la propria identità che l’imma­gine che hanno di sé. L’identità si crea fuori dalla mente, sullo schermo. Non è più l’epoca del gnothi seauton , del 'conosci te stesso' di Platone, ma quella del phani seauton, 'mostra te stesso'!»
Lei ha parlato di «civiltà video-cri­stiana »: in che senso si può scorge­re nella rivoluzione digitale, e del web in particolare, un’impronta cri­stiana?
«Ci sono tre fenomeni della Rete che mi hanno colpito da questo punto di vista: i siti di confessione pubblica, quelli delle 'comunità di pena' e quelli dei cimiteri in Rete. Tutti e tre sono d’ispirazione cristiana, anche se i primi hanno avuto inizio in mo­do satirico per l’ostilità all’idea del­l’assoluzione da parte di un prete – con Atm, the Automatic Confession Machine, dell’artista canadese Greg Garvey. Il suo sito ha però ispirato molte altre iniziative sulla Rete e ne è nato un fenomeno serio, con mi­gliaia di siti di ogni tipo per 'confes­sarsi'. Come per il terzo fenomeno, quello dei cimiteri virtuali – sono or­mai milioni – si tratta chiaramente del fascino di un rituale, non neces­sariamente legato alla fede cristiana. Il secondo fenomeno, invece, è profondamente spirituale e d’ispira­zione veramente cristiana, ed è quel­lo di usare la Rete per condividere malattie, angosce, problemi di fami­glia o, come fanno tanti blog, riflet­tere su vari aspetti della fede. La Re­te fa tornare la gente alla dimensio­ne delle prime comunità, però a li­vello mondiale. È un opportunità per tutte le religioni. Anche se la Chiesa Cattolica sembra aspettare ancora il suo Papa della Rete, come Giovanni Paolo II è stato quello della televisione».
Tra le realtà generate dal web – so­cial network, motori di ricerca, blog, VoIP, ecc.– qual è la più rivoluziona­ria e di cui magari stiamo sottovalu­tando le potenzialità?
«Certamente il social networking non ha ancora finito di sorprenderci. In­novazioni come Twitter nascono dal nulla e cambiano i modi di condivi­sione personale quanto quelli di au­todifesa sociale, politica (vedasi l’I­ran) e commerciale. Wikipedia offre tutta la conoscenza del mondo con la partecipazione di tutto il mondo. YouTube mette a disposizione una penna elettronica per tutti e diviene il nuovo Argus, con tanti occhi. Il po­tere del digitale combinato a quello della rete è di tipo magico, con ap­plicazioni stupende come la magia medievale (da cui il successo feno­menale dei film di Harry Potter). Però la più rivoluzionaria delle invenzio­ni del nostro tempo non è l’ultimo gadget presente sul web o altrove: è il telegrafo. La prima tecnologia che ha messo insieme la velocità della lu­ce con la complessità del linguaggio umano. Il resto si è sviluppato se­condo una logica di complessità».
«Avvenire» del 21 aprile 2010

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