27 maggio 2010

Avanti, a tavoletta

Da domani l'Ipad anche in Italia. Può fare (e cambierà) molto, non tutto
di Alessandro Zaccuri
L’importante non è sapere se ora come ora ci serva o non ci serva. L’importante è capire se, di qui a qualche anno, riusciremo a farne a meno. È il segreto delle nuove tecnologie: rispondere a domande che ancora non abbiamo formulato oppure – sostengono i maligni – trasformare il lusso in necessità, il capriccio in bisogno.
Insomma, per valutare il successo dell’iPad ci vorrà ancora del tempo. Non molto, magari, ma di sicuro non potremo accontentarci delle impressioni di quello che gli appassionati definiscono the day one, il giorno numero 1, vale a dire la data a partire dalla quale, Paese per Paese, il mirabolante dispositivo viene messo in commercio. Per l’Italia, com’è noto, the day one è domani, 28 maggio.
Dalle nostre parti, le stime di vendita complessive si attestano a quota 210mila pezzi, almeno 70mila dei quali prenotati per tempo dagli utenti più irriducibili. Tanti? Pochi? Dipende. Se si ragiona sul sostanziale digital divide (il divario nell’accesso alle nuove tecnologie) da cui il Belpaese è afflitto, il dato risulta incoraggiante. Se invece si ipotizza un confronto con la diffusione pressoché epidemica di cellulari e smartphone, sembra quasi che l’iPad non entusiasmi un granché.
Creatura ibrida, che sviluppa in perfetto stile Apple intuizioni già presenti nell’iPhone e, prima ancora, nell’iPod, il nuovo oggetto non serve per telefonare e non è, propriamente, un computer. Non è neppure un semplice lettore di ebook, se è per questo, per quanto tra le funzioni più pubblicizzate ci sia quella che permette di leggere testi stampati con il cosiddetto 'inchiostro elettronico'. Libri, certo, ma più che altro giornali. Non per niente, anche in Italia, quotidiani e periodici sono stati prontissimi nell’approntare versioni destinate all’iPad, gradevoli alla vista (ormai lo sappiamo: uno strumento tecnologico deve anzitutto essere attraente), oltre che aggiornabili in tempo reale. Con l’iPad non si può fare tutto, dunque, ma si possono svolgere molte attività diverse che finora richiedevano un’attrezzatura ingombrante. Qui, invece, siamo nella terra promessa dell’all in one, e cioè tutto (o quasi) in una sola tavoletta.
Ancora nel 2002, quando nelle sale cinematografiche arrivava l’avveniristico Minority Report diretto da Steven Spielberg, l’argomento era confinato nelle aspettative della fantascienza più visionaria. Nel film, assai liberamente tratto da una novella di Philip Dick, facevano mostra di sé bellurie tecnologiche di ogni tipo, dal proiettore tridimensionale per il salotto di casa (e adesso il televisore 3D è praticamente una realtà) fino a una serie di schermi trasparenti già molto simili all’iPad. Un armamentario al quale, nella finzione cinematografica, nessuno sembrava più disposto a rinunciare, per un motivo semplicissimo: ciascun marchingegno, infatti, non era deputato a svolgere una funzione del tutto nuova, ma permetteva di compiere in maniera innovativa le azioni di sempre. Rivedere le foto delle vacanze, per esempio, o leggere le ultime notizie. Come prima, meglio di prima.
Pensata per misurarsi sulla scala immediata della meraviglia, oggi più che mai la tecnologia trova il suo senso ultimo nella capacità di inserirsi con naturalezza nel tessuto della nostra quotidianità. La scommessa dell’iPad, non diversamente da quanto è accaduto nel passato recente, è appunto questa: diventare un’abitudine piacevole e, nel contempo, utile. Ma perché questo accada occorre che la tecnologia si modelli sull’uomo e non che l’uomo si assoggetti alla tecnologia. Tutto il resto è marketing, immagine, rumore di fondo.
Piacevolissimo ma, a ben pensarci, altrettanto trascurabile.
«Avvenire» del 27 maggio 2010

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