22 maggio 2010

Colombo: «È un cambio di paradigma inquietante»

«Non più conoscere e sfruttare la natura, ma il tentativo di costruirla. Ancora ignote le applicazioni e i possibili problemi di biosicurezza»
di Enrico Negrotti
«Siamo di fronte a un nuovo paradigma della biologia, che non si limita a conosce­re o a sfruttare la natura, ma che passa alla logica della manipolazione totale per essere padrona di una vita costruita dall’uomo in modo artificiale». Don Ro­berto Colombo, docente di neurobiolo­gie e genetica all’Università Cattolica e membro del Comitato nazionale per la bioetica, non fatica a riconoscere la sin­golarità dell’esperimento realizzato dal­l’équipe di Craig Venter, ma pone alcu­ni interrogativi sui possibili sviluppi di questa tecnologia: «Da un lato va ricor­dato che è ancora lunga la strada per produrre cellule più complesse di quel­la del batterio, dall’altro che i possibili utilizzi di questi nuovi organismi pon­gono nuovi problemi di biosicurezza».

In che misura la scoperta di Venter è «vi­ta artificiale»?
I batteri sono organismi unicellulari che si formano per divisione di una cellula preesistente: si generano come cloni, non attraverso la riproduzione sessuata propria degli organismi più complessi, che possiedono una maggiore varietà per le combinazioni dei geni dei genito­ri.
Il gruppo di Venter ha sostituito il ge­noma originale di una cellula batterica con uno sintetico, costruito assemblan­do sequenze di cromosomi diversi. E la nuova «macchina» sembra funzionare, nel senso che si è mostrata in grado di dividersi e quindi di riprodursi. La «sca­tola » è la membrana del Mycoplasma (batterio parassita di minime dimensio­ni), in cui è stato sostituito completa­mente il «motore» molecolare.

Gli obiettivi di questa attività riguarda­no la ricerca di base o le applicazioni pratiche? E quali?
Da un punto di vista teorico può essere interessante creare modelli cellulari semplici per individuare le condizioni minime, indispensabili per la sussisten­za della vita. Dal punto di vista applica­tivo, si parla di creare «macchine biolo­giche » che possono avere compiti par­ticolari: per esempio, «cellule spazzine» in grado di trasformare agenti inquinanti in materiali biodegradabili. Oppure pro­durre materiali biologici con caratteri­stiche diverse da quelle naturali. Mentre l’ingegneria genetica fa produrre pro­teine composte solo dai venti ammi­noacidi noti, ora si può immaginare di dare forma a proteine con proprietà di­verse e preordinate a funzioni partico­lari.

Con le cellule spazzine, per esempio, potrebbero sorgere problemi di biosi­curezza analoghi a quelli che qualcuno paventa per gli Ogm?
Questo resta un interrogativo aperto. Non si tratta infatti di organismi modi­ficati solo in una loro proprietà, come gli Ogm, ma del tutto nuovi. Non si può prevedere come si comporterebbero nell’ambiente, né se, fondendosi con batteri naturali, potrebbero causare dan­ni ecologici e pericoli per la salute del­l’uomo.

Sono stati già ipotizzati sviluppi più am­biziosi, su cellule di organismi superio­ri. È vicino questo traguardo?
Direi di no. Con la biologia sintetica si punta alla progettazione di «processi biosintetici» nuovi per una cellula per farle produrre quello che si vuole. Ma la strada è ancora lunga. E a maggior ra­gione è lontano il pensare di agire su u­na cellula eucariote (come quella del­l’uomo, degli animali o dei vegetali), ben più complessa di quella di un batterio (cellula procariote).

Si è parlato spesso in questi anni del «giocare a fare Dio». Questa scoperta è un passo in questa direzione?
Sicuramente assistiamo a una sorta di scivolamento nella concezione della bio­logia.
Il paradigma culturale che è già passato da quello della conoscenza dei fenomeni della natura a quello dello sfruttamento della natura attraverso le biotecnologie che lavorano sulle pro­prietà degli organismi esistenti, si orienta ora verso una manipolazione totale, o­biettivo della biologia sintetica. Si pro­ducono organismi viventi inediti, utiliz­zando patrimoni informazionali co­struiti al computer, dando il via a forme di vita prima non esistenti. È un para­digma nuovo, un po’ inquietante. Quan­to al significato che tutto questo ha per la comprensione del «fenomeno vita», è già noto da tempo che i processi biolo­gici sono regolati dal Dna. Affermare in­vece che non esiste nulla oltre la chimi­ca e la biologia, mi pare una afferma­zione presuntuosa e non scientifica.
«Avvenire» del 22 maggio 2010

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