22 maggio 2010

Destra e sinistra nell'era di San Toro

di Beppe Severgnini
Nei giorni di San Toro, patrono della buonuscita, si capiscono un paio di cose sulla politica italiana. Perché la sinistra si renda antipatica, ad esempio. E perché perda da anni, con una costanza degna di miglior causa. Le ripetute sconfitte elettorali vengono attribuite al populismo, all'abilità, al cinismo e alle proprietà del Signor B. Certo, anche. Ma lo sappiamo: spesso i vincitori riescono a vincere perché i perdenti sono decisi a perdere. Scegliere, quasi sempre, è una questione di alternativa. Nel commercio come nell' amore. La politica non fa eccezione. La sinistra non è solo rallentata dalle divisioni, dalle ambivalenze, dalle incertezze, dai microprotagonismi, dalle carriere a vita, dai giovani leader incamminati verso i sessant'anni. Non è soltanto indebolita da una storia pesante, esibita talvolta con noncuranza, come se fosse un foulard (quanto piaceva a Berlusconi il comunista Bertinotti in tv!). La sinistra paga anche la sua doppiezza: spesso dice quello che non fa, e fa quello che non dice. Che la destra volesse sbarazzarsi di «Annozero» non è una sorpresa per nessuno; che l'interessato accettasse di monetizzare la resa, invece, ha stupito molti (non tutti). Un esponente di questo governo, recentemente, mi ha detto: «Santoro ci ha fatto perdere 600 mila voti!». Io continuo a pensare che «Annozero» - ottimo, nel suo genere - predicasse ai convertiti; ma mi arrendo davanti alla competenza ministeriale. L'intesa con la Rai - scrivono i giornali - si aggira su una cifra complessiva che sfiorerebbe i 10 milioni (soldi di chi? Indovinate). Difficile dar torto a Bruno Vespa che, liberato di un concorrente, ha commentato sarcastico: «Essere perseguitati è un affare». Non per la sinistra, però. Molti italiani moderati - quelli che non hanno amici e nemici a scatola chiusa - si convinceranno che dice una cosa e ne fa un'altra; mentre la destra, almeno, ammette ciò che fa.
Anche quando non sono cose di cui vantarsi - e, diciamolo, accade piuttosto spesso. In La cricca - il nuovo libro di Sergio Rizzo, malinconico e micidiale - viene riportato il passaggio di un'intervista di Luca Telese a Giorgio Clelio Stracquadanio, deputato del Pdl e fondatore del quotidiano online Il Predellino. Alla domanda «Perché i vostri leader negano che le leggi sulla giustizia siano ad personam?» risponde: «Sbagliano a negare. Va detto in modo chiarissimo: noi siamo a favore delle leggi ad personam». A chi sostiene un'opinione del genere si potrebbero dire diverse cose, non tutte gentili. Ma come negare che sia sincero? E questa franchezza, nella primitiva borsa politica italiana, rende. Esiste il dividendo della sincerità ed esiste la cedola dell'ipocrisia. La sinistra, instancabile, stacca sempre quest' ultima. E poi si stupisce se il capitale si riduce, e gli investitori scappano.
«Corriere della Sera» del 20 maggio 2010

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