21 maggio 2010

Libri, film e tv: quando ci inquietavamo per «A come Andromeda»

Molti scrittori, registi e disegnatori hanno fissato lo sguardo sulla vita artificiale
di Matteo Persivale
«Nulla si sa, tutto s’immagina», amava ripetere Federico Fellini, che di creare la vita in laboratorio (cioè il suo set) se ne intendeva. E per questo non stupisce che l'apologo più famoso sui pericoli dell’ingegneria genetica, Il mondo nuovo di Aldous Huxley (1894-1963), sia stato scritto quando ancora il Dna non era stato scoperto — ventidue anni prima, per l'esattezza. Huxley nel 1931 immaginò l’industria della vita, fabbriche di embrioni e una società divisa rigidamente in caste. Lanciando nello stagno della letteratura idee che attraverso i decenni successivi — dopo che Watson e Crick spiegarono al mondo nel 1953 i misteri della doppia elica alla base della vita — hanno fatto scaturire libri, film, fumetti, musical, telefilm, perfino opere.
La cellula appena creata in laboratorio con Dna sintetico raggiunge faticosamente, dopo tanto tempo, tutti gli scrittori, i registi, i disegnatori, i compositori che hanno fissato lo sguardo sulla vita artificiale e in tutti questi anni hanno creato un intero genere. Una pubblicistica che va dal classico (il precursore, il nonno nobile H.G. Wells de L'isola del dottor Moreau con i suoi uomini-bestia e il veggente Philip K. Dick di Blade Runner recentemente ammesso nel salotto buono della letteratura statunitense con annessa pubblicazione nella Library of America) al colto (il recente Generosity di Richard Powers, su una ragazza portatrice del «gene della felicità» che diventa una star mediatica suo malgrado). Dai megasuccessi editoriali (vari titoli di Michael Crichton, il più celebre dei quali è Jurassic Park: i dinosauri riportati in vita tramite il loro Dna estratto da zanzare conservate nell’ambra) e transnazionali (la saga di Genoma del russo Sergey Lukyanenko).
Fino ai fumetti, agli sceneggiati tv di culto (l'italianissimo «A come Andromeda » del 1972 riscoperto dai ragazzi di Internet, e gli americani Dark Angel, con Jessica Alba dagli zigomi geneticamente modificati e Andromeda ispirato dal papà di Star Trek). La lezione di Huxley è alla base di un film del 1997 che dal Dna ha tratto anche il titolo, Gattaca (le iniziali delle basi azotate che formano il Dna sono G, A, T, C). Racconta di un mondo dove i figli dei ricchi nascono con il Dna «ripulito » da difetti e predisposizioni a malattie: tutti belli come Uma Thurman e Jude Law (e gli altri, imperfetti come noi, sono dei pariah ai quali toccano tutti i lavori manuali). E perfino il male assoluto fa capolino nei laboratori dell’ingegneria genetica dell’immaginazione, vedi I ragazzi venuti dal Brasile (romanzo di Ira Levin e poi film con Gregory Peck e Laurence Olivier) con il dottor Mengele che cerca di far rinascere Hitler.
La scienza del Dna è anche democratica, perché fatta su misura sia per gli artisti sia per gli astuti creatori di serie hollywoodiane di impatto globale (Matrix con Keanu Reeves messia in pelle nera che dall'ingegneria genetica fa il triplo salto mortale verso le realtà parallele, lezione capita al volo da Avatar e dal suo fresco successo da due miliardi di euro). La manipolazione genetica è stata messa perfino in musica: l’opera horror The Fly, «La mosca», ispirata al film anni ’50 con Vincent Price—e al remake diretto da David Cronenberg — nel quale il Dna di uno scienziato si mescola per errore con quello di un insetto raggiungendo livelli di alto grand guignol (e inevitabile pubblicità indiretta al Ddt). Insomma, proprio tutti i colori del «magnifico nuovo mondo» (citazione shakespeariana - La tempesta - piegata astutamente da Huxley alle esigenze di un futuro da incubo). Ma che venga visto come sorgente di vita e speranza — il misterioso feto del finale di 2001 Odissea nello spazio — o terrificante vaso di Pandora come quello immaginato da Huxley, la notizia di ieri è che vita artificiale — il futuro — è qui. E quelli tra noi che non riescono a non guardare l’ingrandimento di quella cellula come a un pianeta pieno di insidie possono difendersi, almeno, con le armi dell’ironia. Quella di uno scrittore morto poco più di anno fa, JG Ballard, l’autore di Crash, che con il suo sorriso gentile tranquillizzò un intervistatore allarmato dagli orizzonti nebulosi dell'ingegneria genetica: «Non ho obiezioni riguardo alla clonazione — disse quel grande —. Neanche nel caso degli esseri umani. Siamo tutti così inevitabilmente simili, in fondo».
«Corriere sella Sera» del 21 maggio 2010

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