24 maggio 2010

Oltre l'edonismo, tutti gli errori della generazione anni '80

a cura di di Stefano Biolchini e Giorgio Fontana
A lungo ti sei battuto per la corretta interpretazione della poetica di Tondelli, in primo luogo curando la sua "Opera completa". Spesso, però, tale poetica è ancora ridotta a uno sterile giovanilismo. Come fare piazza pulita di questo luogo comuni?
Dire che mi sono battuto per "una corretta interpretazione della poetica di Tondelli", è impreciso.

Da critico militante e come curatore della sua opera, come lui stesso aveva voluto, ho sempre dissentito dall'approssimazione con cui veniva affrontata l'opera di Tondelli, dalla falsificazione di verità espresse, per un'immagine di sé, nella sua opera e dalla ricerca morbosa di nomi e cognomi in una biografia come quella di Tondelli che è già stata raccontata dall'autore nel contesto romanzesco di Camere separate, dai giudizi sulle scelte umane effettuate da Tondelli, alcuni decisamente intollerabili, tanto più offensivi, in quanto senza contraddittorio con quella che era "la verità" di Tondelli.
Garantire sulla sua riservatezza, ecco che cosa mi ha chiesto Tondelli e rispetto e difendo quella sua richiesta.

Per il resto sono del parere che il giudizio critico su un'opera letteraria deve essere il più aperto possibile e tanto più aperto è lo spazio di ricerca serio, tanto più ne viene valorizzata l'opera. Per cui ho lavorato, in questi anni, insieme al Centro Documentazione Tondelli di Correggio, da cui ho avuto grande sostegno e massima collaborazione e con la famiglia dello scrittore, proprio nel seguire quest'ultima direzione, quella dell'incentivazione, della divulgazione e della valorizzazione dello studio critico sullo scrittore.
Credo che saggisti giovani come Antonio Spadaro, Mauro Vianello, Lucio Levrini, Giorgio Nisini abbiano dimostrato con i loro studi che Tondelli è ben altro e le sue peculiarità vadano ricercate altrove.

Dal presente al passato: quale fu il rapporto di Tondelli con la critica del suo tempo?
Beh, il rapporto con la critica spesso è stato molto deludente, soprattutto quando uscì Camere separate, che non fu per niente capito da molti critici, tra cui Angelo Guglielmi, la cui stroncatura ferì profondamente Tondelli. Anni dopo Guglielmi è stato molto onesto e ha scritto di essersi sbagliato nei confronti dello scrittore.
Tondelli non amava quel pressapochismo che già iniziava a serpeggiare nell'esercizio critico: pressapochismo che dava, secondo Tondelli, la libertà di sbagliare il nome di una località o di confondere i protagonisti, sapendo che non questa mancanza di attenzione fondamentale non avrebbe per nulla intaccato il loro ruolo.
Aveva visto giusto Tondelli perché il vizio si è diffuso negli anni successivi alla sua morte, portandosi dietro altre impunite "false libertà": ritornare alle vecchie abitudini dei salotti e delle "cricche critiche", per cui ad essere favoriti sono solo gli amici o i prescelti dal "summit" critico; affidarsi con calcolo alle pressioni degli uffici stampa e fare, in toto, il gioco editoriale della grancassa.

E per quanto riguarda lo spirito del suo tempo? I "ruggenti anni Ottanta"?
Certamente gli anni Ottanta che Tondelli ci racconta non sono quelli del "vintage" che ha riportato in voga da qualche anno il decennio dell'edonismo, perché questa è una parola troppo facile e troppo larga per definire le sfumature, o anche l'altra faccia, molto più drammatica, del tema della morte, sotto forma di autodistruzione (l'abuso delle droghe) o di malattia (la tragedia dell'AIDS su tutte). Tondelli ne era assolutamente consapevole e aveva accennato, senza mezzi termini, agli errori di una generazione, oltre ad aver raccontato il tema del lutto in vari scritti.
Gli anni Ottanta, per Tondelli, risultano essere il consuntivo di un viaggio ramingo e solitario, da acuto osservatore dei fenomeni culturali nel momento del loro imporsi, un viaggio che ha portato lo scrittore a costruire una sorta di mappa creativa di ciò che poteva offrire la provincia italiana, quella un po' più visibile delle città, ma anche quella più isolata e anonima delle cittadine.

Quali influenza hanno avuto nel percorso di Tondelli scrittori come Kerouac, Roland Barthes e Arbasino?
Sono sempre gli stessi nomi che si fanno quando si parla di Tondelli. Certamente sono scrittori che hanno avuto un grande influsso soprattutto nella parte iniziale della sua esperienza letteraria, quando cercava un "sound" per la propria scrittura.
Ma ci sono altri scrittori che hanno influenzato molto Tondelli. Capita spesso di rileggere i suoi scritti, trovandovi sempre nuove verità e rimanendo meravigliati dalla sua possibilità di mettersi a nudo attraverso la letteratura, tanto che si ha l'impressione, leggendo le sue pagine, di assistere a uno "strip tease" interiore, in cui nulla viene celato e che raggiunge, in certi momenti, quella dimensione dell'epico che Tondelli ritrovava ad esempio in uno scrittore come Peter Handke, quello dei brevi saggi a tema o delle confessioni in pubblico degli anni Ottanta.
Non è però da Handke che Tondelli perviene alla necessità di farsi totalmente vivo e nudo attraverso la scrittura, ma da Ingeborg Bachmann e da Cristopher Isherwwod, l'autore di Addio a Berlino, ma anche di quel diario intimo che è Ottobre, che lo stesso Tondelli ha adottato come modello di scrittura per il racconto Pier a Gennaio.

Che ruolo ebbero nella sua poetica elementi così differenti come il viaggio e l'Europa, ma anche la provincia e la riviera romagnola?
La sua opera è, in effetti, un lungo viaggio nelle mode e nella fauna degli anni Ottanta. La sua posizione all'interno di questo viaggio è precisa: lui non è un semplice osservatore esterno, ma una persona che ha bisogno di "un accumulo di esperienze" per sentire "il sound della realtà".
Così le mode che descrive, le aggregazioni giovanili che ritrae con tanta vitalità portano impresse la sua partecipazione entusiastica. Così Rimini & Co non sono solo un fondale di scena per il suo romanzo, ma la dimensione per raccontare una sua idea di mondo, oscillante tra il carnevale e la quaresima, tra Sodoma e l'Apocalisse, tra il divertimento e la malinconia, tra l'egotismo e la pietà.
E così, la riviera adriatico-romagnola non è solo un luogo d'osservazione privilegiato per rilevare tendenze, atteggiamenti, manie, ma diventa anche una grande mappa da esplorare, alla ricerca di un carattere che la identifichi o di quelle contraddizioni che la rendono così singolarmente esemplare.

In che senso?
Nel senso che la riviera ha una sua precisa collocazione che non la pone solo in quanto spazio interessante di indagine. Diventa, per Tondelli, un modo per riflettere su di sé, sulla sua natura, su quell'anima che sembra essere generata dall'appartenenza ad una terra. Tondelli intuisce la riviera come il luogo simbolico di un "carnevale" che si rinnova continuamente. Sa però anche c'è una dimensione quaresimale che segue alla frenesia carnevalesca.
La riviera diventa così un luogo simbolico di come Tondelli abbia messo in rilievo più volte il suo interesse per la provincia, in cui si annidavano fermenti innovativi sia musicali sia artistici: non più quindi solo l'idea di una provincia chiusa e soffocante, ma aperta ad un contributo notevole allo sviluppo delle nuove tendenze.

Tondelli, come Pasolini, ebbe un complicato rapporto con la censura. La prima edizione di "Altri libertini" fu condannata per oscenità e oltraggio alla morale pubblica. Quali furono le reazioni dello scrittore?
Tondelli all'inizio degli anni Ottanta si impone in modo scandaloso: il timido ragazzo di Correggio, che negli anni della sua adolescenza ha frequentato l'oratorio e i tanti gruppi di volontariato, di impegno sociale e cristiano, si ritrova di colpo sulle pagine dell'"Espresso" a raccontare del suo libro d'esordio, Altri libertini, che rappresenta uno shock emozionale anche per un'Italia che già conosce i clamori della trasgressione.
Il libro viene sequestrato, crea problemi al giovane Tondelli, che non la prende molto bene, deve subire un processo, difeso dall'avvocato reggiano Corrado Costa. Eppure non si dà per vinto, riesce a far dissequestrare il suo libro e inizia però con grande fiducia il suo percorso di scrittore, che nel tempo si farà sempre più certo della necessità di elaborare romanzi e opere teatrali, racconti sempre più consapevolmente pensati secondo un progetto e un metodo di lavoro.

L'affermazione dello "spazio emozionale" sembra uno dei momenti irrinunciabili della poetica di Tondelli. In che modo la priorità del sentimento e dell'emozione riescono a vivere nella sua prosa senza diventare un trito sentimentalismo?
Tondelli, nella sua opera, riesce a restituire un ritratto intimo e veritiero di sé. L'autenticità della sua scrittura e soprattutto la verità di vedersi oltre se stesso, come un corpo estraneo che riflette i suoi pensieri e le sue emozioni, deriva da una scelta strutturale precisa.
La voce della scrittura, in Tondelli, sembra sempre separata dal corpo, va a cercare una finzione per raccontare con libertà di sé e del proprio mondo interiore. È autentica nel momento in cui si proietta oltre l'autobiografia per farsi "voce di tutti".

Una separazione cruciale.
Sì, e tipica della scrittura di Tondelli: è la forza di Altri libertini che usa la finzione autobiografica di trasgressioni per lo più immaginate; è il punto centrale di Camere separate, in cui lo scrittore si nasconde sotto le spoglie di una persona letteraria, osservandola, come si osserva un se stesso proiettato in uno specchio.
Tondelli radica la sua ricerca letteraria nella domanda che si pone alla stazione di Bologna, come racconta, in pezzo su "Rockstar": "Chi sta viaggiando in questo momento?"
E ogni sua opera cerca di formulare risposte a questo interrogativo profondo, in una ricerca di appartenenza alla realtà che spesso si ritrova a vivere come in una sorta di estraniazione.

Quest'anno cade il trentennale della pubblicazione di "Altri libertini". In che misura è ancora attuale l'esordio di Tondelli, dopo tutto questo tempo?
Beh, credo che sia un libro unico e irripetibile, nel registrare il fermento e il linguaggio di quegli anni, le manie e i tic, il dolore. È un libro che deflagra, che mette a nudo in modo nuovo e diverso la provincia italiana e mette in scena il desiderio dell'Europa, di quel mare del Nord che indica molto altro, oltre alla posizione geografica.
Riletto oggi Altri libertini sembra sfuggire da quella interpretazione strettamente espressionista o post-beat generation, fin qui operata. È un libro duro, un romanzo a scenari che si pone nel solco di certa "controcultura", sfugge all'etichetta propriamente autobiografica. È l'elegia delle grandi speranze e delle nude disperazioni, ma anche un groviglio di ironie un po' agre e spietate.

Una delle componenti più importanti dell'opera tondelliana è il suo afflato religioso, la tensione mistica che si avverte in particolare nella fase terminale della sua scrittura.
In particolare, il rapporto fra omosessualità e fede ha portato a un binomio carico di spunti per una poetica che sa essere sia personalissima che universale.
Uno dei temi più discussi in questi anni è stato proprio quello della religiosità di Tondelli. Personalmente credo che sia un tema che percorre timidamente la sua opera: lo scrittore emiliano non ama parlare apertamente della questione religiosa nei suoi libri.
È più una dimensione che gli interessa dal punto di vista esistenziale. Infatti troviamo un uomo che è affascinato dal "nomadismo" tra le religioni di uno scrittore dimenticato come Carlo Coccioli e, senza giungere alle sue scelte drastiche, interroga apertamente vari riferimenti, dalla religione cattolica, in cui è nato e in cui è cresciuto alla tradizione ebraica e orientale, alla ricerca di quell'assoluto che spieghi il valore dell'esistenza e l'insostenibilità di quel profondo disagio o frattura, derivante dalla cognizione della propria solitudine, pur se immersa nel frastuono delle luci e dei suoni rock o blues degli scintillanti anni Ottanta.
Così il suo riavvicinamento, negli ultimi mesi della malattia, ai sacramenti e alla pratica cristiana, è un momento che segna la sua esperienza personale, identificando quel bisogno di una rivelazione forte che viene intuita in quel doppio ruolo, tra memoria e profezia, nel suo ultimo romanzo, Camere separate.

E la stampa come ha letto questo tema?
La stampa ha sempre letto, in questi dieci anni, in modo scandalistico e provocatorio le analisi al riguardo, giocando sulle dicotomie del "libertino" e del "monaco" che sono due aspetti che attraversano l'opera di Tondelli, pur non essendo in contraddizione. O non intuendone l'autore la forma di paradosso. È chiaro che Tondelli non ha mai voluto essere uno scrittore cattolico, bensì un intellettuale al quale interessava molto approfondire i temi della spiritualità, come parte dell'avventura umana.
Il Tondelli che ho conosciuto era un uomo schivo, riservato, molto gentile, ironico, a volte sarcastico, curioso di tutte le nuove tendenze postmoderne, con un rammarico, quello di non trovare, nell'indifferenza un po' gonfia, da "fiesta continua" degli anni Ottanta, una forma di dialogo sugli aspetti riguardanti il religioso. Cercava una forma di libertà anche in questo.

"Rimini" termina con una ideale colonna sonora consigliata al lettore, e la musica ritorna spesso nelle pagine di Tondelli. Quali furono le sue principali influenze musicali? Potresti stilare una top ten delle tue preferenze al riguardo?
Mi piacerebbe dire che vedo Tondelli come uno scrittore che chiede alla musica la possibilità di un "sound" che può avere caratteristiche estremamente diverse, ma che è in grado di colpire sull'assetto esistenziale.
Il suo sguardo non è quello del critico musicale, non lo è mai. È quello di chi ascolta e alla musica chiede la forza delle emozioni, quella di un coinvolgimento appunto "ingenuamente interiore", tale da poter stratificarsi anche in quella coscienza dello stile che appare così naturale in Tondelli, proprio per questa forma di doppio contatto che porta dall'ascolto alla introspezione di una cultura musicale che viene restituita in un'altra forma, più personale, attraverso immagini di scrittura "in un certo senso epiche".
La Top Ten potrebbe essere una bella trovata, ma ogni "colonna sonora" che lui ha pensato per i suoi romanzi è già in sé, una sua "top ten". Se vogliamo trovare invece i nomi che maggiormente ricorrono nello "Weekend postmoderno" allora possiamo dire che su tutti troviamo Morrisey e gli Smiths, e poi Jimmy Sommerville, Nina Simone, Wim Merten e Brian Eno, Claudio Lolli e Francesco Guccini, i CCCP-Fedeli alla linea.

Fulvio Panzeri (Renate 1957) è uno dei più noti critici letterari italiani. Ha pubblicato diversi saggi e diverse raccolte di poesia (fra cui fra cui L'occhio della trota, Guanda 2002) e ha curato le Opere complete di Pier Vittorio Tondelli (Bompiani 2000-2001).
«Il Sole 24 Ore» del 23 maggio 2010

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