24 maggio 2010

Posta del cuore fa rima con banalità d’autore

Da Busi a Moccia passando per Alberoni: tutti vogliono una rubrica che grondi sentimenti e melassa emotiva
di Massimiliano Parente
Ma dove vai se la posta del cuore non ce l’hai? Un tempo era il kitsch nazionalpopolare della «corrispondenza privata» di Susanna Agnelli, decenni prima sarebbero state bomboniere di carta strappalacrime per sartine in pena ancorché avide lettrici. E ancor prima avremmo scomodato Liala o Carolina Invernizio o signorine perbene come Anna Maria Vertua, mentre oggi la posta del cuore è più di una laurea, il coronamento di una carriera giornalistica, intellettuale, letteraria, politica.
Solo poco più di un decennio fa se andavi dove ti portava il cuore ti trovavi di fronte a Susanna Tamaro e magari ti rendevi conto che cuore fa rima con amore che spesso fa rima con orrore, invece oggi neppure Aldo Busi resiste e, forse geloso della rubrica di Barbara Alberti su A, ora ne apre una su Rolling Stone chiamata «la posta del cuore», così, ruspante, senza troppi giri di parole o travestimenti nominali. Da Sodomie in corpo 11 a Cazzi e canguri a Bisogna avere i coglioni per prenderlo nel culo all’Isola dei Famosi a «La posta del cuore»? E il prossimo scatto in avanti della carriera dello scrittore quale sarà? Prendere il posto di Davide Mengacci? I settimanali pullulano di cuori infranti, e chi riesce a accaparrarsi uno spazietto sentimentale può piantare la sua bandierina, tanto non deve parlare di un cazzo, infatti si parla di cuore. E poiché l’amore, come aveva capito Nietzsche, è «quello stato in cui l’uomo vede le cose come non sono», il «cuore» sarà un topos malleabile all’infinito (come in Chiesa, dal Sacro Cuore a «in alto i nostri cuori»), tranne quando devi farti un’angioplastica o metterti un by-pass, allora capisci che la mente è la mente e il cuore è il cuore che casomai fa rima con fegato. Chiunque abbia bazzicato la carta stampata italiana prima o poi ha avuto una posta del cuore. Ha tenuto una «posta del cuore» Carlo Rossella su Panorama, Massimo Gramellini ha perfino raccolto cento lettere della sua posta del cuore in un libro, di poste amorose ne ha una anche Gianluca Nicoletti, «autore, scrittore, giornalista, editorialista e conduttore», su Marieclaire, con un nome che è una garanzia: «la posta del cuore». Sarà per questo che alla Alberti, nel restyling grafico, hanno cambiato nome in «La verità sull’amore», se non è zuppa è pan bagnato nell’Auden ma almeno lei ce l’ha da vent’anni, la posta del cuore (sebbene io a quindici anni mi dilettassi leggendo la rubrica di sessuologia di Alessandra Graziottin, e ancora me la sogno di notte, la Graziottin, sessuologa che rispondeva senza peli sulla lingua alle questioni più scabrose, una della scuola garantista di Beccaria che trattava la questione con somma nonchalance, mica come le femministe d’oggi, mica come il sessuologo Marco Rossi, lì l’orgasmo era l’orgasmo e nessuno raggiungeva «la gioia»).
In ogni caso non scrivete ai rubrichisti del cuore, fatelo per voi stessi e anche perché si sa che le lettere sono così cretine che gli unici a scriversele e a rispondersele sono i detentori delle rubriche medesime strapagati per farlo. Aldo Busi, il più furbo, quello che va sull’Isola ma non come gli altri, quello che ha una rubrica del cuore ma non come gli altri, ha messo le mani avanti e dietro con una dichiarazione paraculesca da manuale del perfetto gentiluomo azzeccagarbugli manzoniano post-harmonico, quindi non ponetevi il problema del vero e del falso perché «qui non farò alcuna distinzione tra missive vere e false, tutte sono vere e false allo stesso modo, e anche nella lettera più farlocca, scritta per tendere una trappola a me, l’estensore tende in verità una trappola a se stesso e va aiutato a cavarsene fuori». Del cuore parla anche la posta di Federico Moccia su Dipiù, mentre Alberoni, venti pagine dopo sullo stesso settimanale, cura una bellissima «posta dell’amore». Se le inventano anche loro come Busi, è evidente, perché è inimmaginabile pensare una lettrice di Dipiù che per risolvere una sua relazione scriva a Alberoni e aspetti settimane per sentirsi rispondere «Deve lasciarlo, ma non in modo brusco», o una tredicenne brutta che si innamora di un ragazzo bellissimo e scrive a Moccia per chiedergli «Cosa posso fare? Devo lasciare perdere o continuare il mio “sogno”» e al posto della terribile verità estetica dell’attrazione sentirsi rispondere «Non conta come sei fisicamente. Ognuno di noi è bello per qualcuno, non c’è una regola fissa», ma cosa vai dicendo Moccia, è per questo che vendi tutte quelle copie? E scusa se ti chiamo Moccia, di peggio non mi viene.
Candidate papabilissime, già sull’orlo di una crisi di nervi e di una gravidanza isterica se non vi sbrigate a rubricarle, le signore Scurati e Veltroni, rispettivamente autrici dei romanzi femminili Una storia romantica e Noi (noi nel senso di voi come loro). D’altra parte, oltre quarant’anni fa, il caro vecchio fratello d'Italia Arbasino osservava come, linguisticamente, per tradizione consolidata, «il cuore si spezza e il cazzo si rompe» e mai il contrario, e quindi, alla fine, basta pensare che tutti questi curatori di cuori spezzati ce lo hanno davvero rotto senza bisogno di specificare cosa, noi scrittori senza rubrica e senza cuore.
«Il Giornale» del 24 maggio 2010

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