30 maggio 2010

Se la severità rischia di far tornare il 6 politico

Maturità
di Giovanni Belardelli
La nuova norma che subordina l'ammissione all'esame di maturità al conseguimento almeno del sei in ogni materia rappresenta quel che si dice una svolta? Va davvero - come alcuni auspicano e altri invece temono - nel senso di una maggiore severità della scuola, e anche di una sua effettiva capacità di riconoscere e promuovere il merito degli studenti? Va davvero - come alcuni auspicano ed altri invece temono - nel senso di una maggiore severità della scuola, di una sua effettiva capacità di riconoscere e promuovere il merito? A parte ciò che riguarda i privatisti (che fino all'anno scorso potevano essere ammessi alla maturità senza bisogno di un giudizio di ammissione da parte dei consigli di classe della scuola dove intendevano sostenere l'esame), per tutti gli altri studenti e studentesse non credo che le cose cambieranno in modo radicale. È sostanzialmente impossibile, infatti, che per un solo cinque non si venga ammessi, come pure la legge che è ora applicata per la prima volta richiederebbe. Ed è difficile che possa essere escluso dall'esame di Stato chi ha magari due insufficienze, ma non su materie fondamentali. È probabile insomma che gli studenti con insufficienze limitate e non gravi verranno ammessi all'esame finale da una valutazione d'insieme, e non soltanto aritmetica, del consiglio di classe, come avveniva prima. Semmai adesso la nuova norma indurrà in molti casi i docenti ad attribuire una sufficienza per opportunità, una sorta di sei politico. E questa forse non è una novità positiva. In ogni caso, mi pare difficile che sia da qui, dalle norme per l'ammissione alla maturità, che può passare davvero l'introduzione di un maggior riconoscimento del merito in una scuola come la nostra, che ha da tempo seri problemi ad applicare criteri omogenei di valutazione. Una difficoltà che è testimoniata ogni anno dalle grandissime disparità nei voti conseguiti nelle diverse aree della penisola e tra i diversi istituti di una stessa città (con concentrazioni di 100 e lode che a volte non possono che apparire sospette). E questo rimanda alla cultura di una parte degli insegnanti (e dietro di essi alla cultura del Paese in cui vivono), al fatto per esempio che non sono rari i casi di professori che durante la maturità arrivano al punto di fornire essi stessi ai loro alunni il proverbiale e italianissimo «aiutino».
«Corriere della Sera» del 29 maggio 2010

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