23 giugno 2010

Adesso agli editori per fare i soldi basta un solo libro

Da Larsson alla Meyer: il bilancio dipende da un super autore. Conta solo entrare nella top ten. Si punta sul caso letterario che fa vendere in libreria
di Matteo Sacchi
Editori mono-libro. O meglio editori che hanno un catalogo con decine e decine di titoli ma che quando si va a vedere il fatturato devono le loro fortune o sfortune a un autore solo, o al massimo a un pugno di scrittori. Ecco il trend del nostro mercato librario, con tutti i rischi che ne conseguono. E che si parli di marchi grandi, medi o piccoli in fondo importa poco. Ormai per mantenere in piedi una casa editrice, e tirar fuori utili, quel che conta sono i picchi. E devono essere vette vere, nemmeno bestseller, ci vogliono i così detti gigaseller. Tanto per dire, Mondadori ha in autori come Saviano o Paolo Giordano delle primedonne insostituibili per il fatturato. Esattamente come Rcs ha nelle opere di Oriana Fallaci un potenziale di copie vendute e vendibili che valgono quanto intere altre collane o settori narrativi. In un mercato dove la top ten - i dieci libri che vendono di più - spolpa tutto, chi non azzecca il megaseller stenta. E chi ci riesce, come in uno strano poker imprenditoriale, vince tutto il piatto.
E il fenomeno diventa ancora più evidente quando ad azzeccare il «jackpot» di lettori è un editore medio. Proprio in questi giorni Fazi ha fatto uscire il quarto libro di Sthepenie Meyer La breve seconda vita di Bree Tanner (pagg. 216, euro 16). È un breve spin off della serie Twilight, ma è immediatamente balzato al secondo posto della classifica. Ed è stata proprio la Meyer a consentire alla Fazi di entrare tra le prime sette case editrici d’Italia. Una crescita che, come racconta al Giornale Elido Fazi, ha portato l’azienda da un fatturato di un milione di euro nel 2001 a quello di 34 milioni nel 2009. E Fazi non ha dubbi sul fatto che questa crescita sia legata soprattutto al successo di appena due autori: «Dipendiamo dalle punte. Prima Melissa P., che ha venduto tre milioni e mezzo di copie, e poi la saga della Meyer che in certi momenti ha avuto tutti e tre i titoli nella top ten... I gigaseller fanno una differenza enorme per un editore, è inutile negarlo...». Il problema è che poi una casa editrice, che magari ha un catalogo bellissimo, si trova a essere conosciuta e a prosperare grazie a un singolo autore che detta legge (anche il sito Fazi tanto per dire ha un link per il catalogo e uno apposito per la sola Meyer). Sempre Fazi: «È chiaro che l’autore di punta è di difficile gestione. Noi ci siamo assicurati il primo libro della Meyer con un anticipo di appena 25mila euro, invece per il secondo Rizzoli ha cercato di strapparci l’autrice con delle offerte fortissime. Per fortuna la Meyer è stata corretta... Ed ora che siamo cresciuti, anche noi possiamo giocare in modo diverso, fare anche delle scommesse su altri autori o battagliare in modo diverso sui titoli... Del resto noi investiamo anche in libri di letteratura alta come la Vighy o il giovane Frascella...». Verissimo, però la parte colta delle case editrici ormai vive grazie alla rendita dei blockbuster. E qualcuno la faccenda la prende molto sul serio. È un dato di fatto che Giorgio Faletti sui fatturati di BCDalai incida parecchio, ma dalla casa editrice si rifiutano di fornire dei numeri. Insomma il peso di Faletti diventa addirittura «informazione riservata».
E persino in un marchio di origine universitaria come Marsilio quello che fa la differenza è il giallo nordico, o meglio Stieg Larsson e la sua trilogia. Nel 2006 la narrativa Marsilio fatturava attorno al milione di euro, nel 2009 a colpi di Uomini che odiano le donne i milioni sono stati quasi quindici. Racconta Jacopo De Michelis responsabile del settore: «Se escludiamo Larsson la casa editrice è comunque cresciuta di un 30%. Certo senza la trilogia non avremmo mai avuto un picco del genere. Pensare che quando abbiamo pagato un anticipo di 12mila euro ci è sembrato un investimento alto... In ogni caso non è che abbiamo fatto il colpaccio per caso: erano anni che investivamo nel giallo nordico, a partire dai libri di Henning Mankell e abbiamo la bravissima Francesca Varotto che cura quel filone...». Ma lo squilibrio tra il settore, che pure va bene, e Larsson è evidente: Camilla Läkberg che è il secondo nome di punta del catalogo vende 200mila copie, Larsson ha fatto milioni di lettori. Dice De Michelis: «Un successo del genere pone anche dei problemi: è difficile regolare una crescita così irruenta legata per di più a un autore morto... Ma è il mercato che ormai è monopolizzato da pochi autori. Anche tra chi va in classifica spesso ci sono differenze abissali. Se il primo, per esempio, vende “cento” il quinto già sta vendendo solo “quindici”... Quando non ci azzecchi diventa subito dura. Ecco perché noi stiamo diversificando e abbiamo acquisito anche il marchio Sonzogno, per allargare le possibilità...».
Diversa la strategia di E/O, editore medio piccolo che, di colpo, si è trovato a gestire un tesoro come il long seller di Muriel Barbery L’eleganza del riccio. Libro che, per numero di copie, polverizza qualsiasi altro titolo mai opzionato dal marchio romano. Come spiega il responsabile commerciale Gianluca Catalano: «Nel caso di una casa editrice media l’impatto di un singolo libro traina l’intero catalogo, ti dà una visibilità diversa, ti può addirittura far arrivare in punti vendita dove non eri mai stato prima. E nel nostro caso ci ha addirittura consentito di ridurre il resto del catalogo... Abbiamo meno urgenza di novità. Certo l’importante è non ragionare come se si potesse campare di un titolo per sempre...». Ma questo rischio in un mondo dove “O megaseller o morte”, rischiano di correrlo tutti. Senza contare l’altro tremendo dilemma. Ho preso un esordiente e ne ho fatto un fenomeno. Ma se il secondo libro fa flop? Meglio tenerlo lì a far la muffa che rischiare (e non ce ne voglia Piperno) ...
«Il Giornale» del 23 giugno 2010

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