29 giugno 2010

Dunga s'ispira a Machiavelli per far vincere il Brasile

di Massimo Donaddio
Non ce lo saremmo mai aspettato da un "Cucciolo" come lui. Sì, perché Carlos Caetano Bledorn Verri, l'allenatore della nazionale brasiliana noto a tutti con il nome di Dunga, prende il suo soprannome proprio da uno dei sette nani della famosa fiaba popolare resa celebre anche dai disegni di Walt Disney. Eppure i suoi riferimenti, non solo calcistici ma anche culturali in genere, sono altri, ben più di seri e impegnativi. Nientemeno che Niccolò Machiavelli - uno dei pensatori della storia d'Italia più importanti e conosciuti nel mondo - e il suo Principe, il libro che, per eccellenza, parla delle doti del comando, della conquista e del mantenimento del potere.
Un libro che continua a ispirare fior di capi, di manager, di generali, di uomini politici anche oggi, un po' come i testi sull'arte della guerra del cinese Sun Tsu e del generale prussiano Carl von Clausewitz. Ora, che Dunga non brilli per simpatia e per comunicativa, non è una gran novità. Che non sia amatissimo anche nel suo paese perché non ha ceduto al clamore popolare nelle convocazioni, è risaputo. Ma che abbia come punto di riferimento nel suo lavoro il Principe di Machiavelli è decisamente curioso.
Certo, i grandi allenatori ormai sono - o dovrebbero essere - dei maestri di lavoro in team, di motivazione, di gestione e coesione di gruppo. Josè Mourinho sarebbe probabilmente un fanatstico manager ovunque mentre Marcello Lippi ha passato almeno due anni (se non quattro) a raccontare nei consessi più diversi (aziende e università) come si governa un gruppo e come si raggiunge un risultato che conta con la giusta determinazione. Ma non era fin qui noto un classico della cultura come testo ispiratore per un allenatore.
E invece il Cucciolo si ispira direttamente al machiavellico Principe. Forse è per questo che se ne infischia del consenso, delle critiche, delle antipatie, e della filosofia del bel gioco. Non ci ha pensato due volte nel non convocare un idolo della torcida come Ronaldinho, campione dello "joga bonito" (che in Brasile è quasi una filosofia di vita). Perché questa ispirazione "italiana"? Facile. Dal 1988 al 1992 Dunga ha giocato nella Fiorentina, è vissuto a Firenze e si è appassionato al Rinascimento, all'arte, alla cultura, alla scienza, più in generale alla città dei Medici, di Leonardo, Michelangelo e Botticelli, di Dante e appunto di Machiavelli. «A Firenze ho imparato l'italiano, grazie al club ho visitato i migliori musei anche quando questi erano chiusi al pubblico, e ho scoperto Machiavelli», ha dichiarato recentemente il ct brasiliano, che del filosofo cita l'interrogativo di fondo: per il Principe, la sua virtù politica e cioè per il leader, il condottoriero, il capo, è meglio essere amato o temuto? Eterno dilemma di ogni tempo e di ogni uomo che abbia responsabilità. Machiavelli suggerisce che, dovendo scegliere tra le due opzioni, è meglio privilegiare la seconda. Il Principe è infatti colui che conserva o amplia il proprio potere con astuzia, sottigliezza e, quando serve, crudeltà. Inoltre deve essere un esperto nella selezione dei collaboratori e della sua squadra, come sanno bene Diego, Thiago Motta, Adriano e Pato, per fare qualche altro nome. Non avrà conseguito i gradi accademici alla Harvard University o alla Normale di Pisa, ma il Principe Dunga mostra di avere le idee molto chiare in testa. Vedremo se sarà più bravo e fortunato del toscano "autentico" Marcello Lippi.
«Il Sole 24 Ore» del 28 giugno 2010

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