26 giugno 2010

Oltraggio che nulla ripara e molto svela

Il blitz nella cattedrale belga
di Marina Corradi
Un blitz nella cripta di una catte­drale, come fosse il cuore di una organizzazione criminale. Forzare le tombe di due vescovi, violarne i se­polcri cercando segreti dossier – che però non ci sono. Ha il sapore di un film di Dan Brown quello che è suc­cesso a Mechelen, in Belgio. Nell’am­bito di una inchiesta su casi di pedo­filia nella Chiesa belga un giudice ha ordinato interrogatori di vescovi, e se­questri di dossier, e anche la perqui­sizione nella cattedrale, capolavoro duecentesco che da secoli è il simbo­lo della città vicina a Bruxelles.
Non è in discussione la liceità delle indagini, né l’esigenza di arrivare al­la verità, se abusi ci sono stati: da me­si il Papa insiste sulla necessità di ri­parare al male fatto. Fatto anche in Belgio. Da singoli uomini. Ma in que­sto blitz in cattedrale, nella violazio­ne delle tombe di due arcivesco­vi della diocesi di Bruxelles, si legge qualcosa che va oltre la le­gittima esigenza di giustizia. Era davvero neces­sario arrivare, come ha scritto la stampa belga, con i martelli pneumatici in u­na cripta mor­tuaria? E non as­sume invece, un simile assalto, un va­lore simbolico, il segno di una voglia di attaccare la Chiesa nella sua tota­lità?
'Operazione Chiesa', è il nome della inchiesta della magistratura belga, ed è un nome significativo. Un nome che indica il bersaglio. Non i singoli col­pevoli, ma 'la' Chiesa. E non tanto per le colpe terribili e odiose di alcu­ni suoi ministri, quanto per ciò che la Chiesa stessa rappresenta, per ciò che 'è'. C’è l’eco, in quel blitz sulle tom­be, di un redde rationem, di un ren­dimento di conti con la pretesa origi­naria della Chiesa: cioè di portare Cri­sto, e la sua verità. Che fastidiosa­mente, e più che mai in un Paese se­colarizzato come il Belgio, cozza con­tro la cultura dominante e il suo ido­lo – l’Io vezzeggiato, libero da ogni leg­ge che non sia la sua. Non si spiega altrimenti la brutalità e la voluta vistosità di questa incursio­ne. Come se si volesse colpire proprio al cuore. Di chiese aggredite nella sto­ria ce ne sono state tante, e con ben altra distruttività. In rivoluzioni e tra­gedie imparagonabili a questo picco­lo blitz di un giudice, incursione le­gale, protetta dai timbri di un ordine di perquisizione. E tuttavia, violare tombe di cardinali in una cattedrale, pur con i crismi della legge, è un ge­sto che sa di violenza. Cogliendo la circostanza tragica degli abusi pedo­fili, colpire non i colpevoli, ma mira­re al cuore. Al cuore, nelle viscere di una quelle splendenti cattedrali che costellano le nostre città d’Europa. A osservarle dall’alto, appaiono come il centro di una ragnatela di case, di storie, di uo­mini. Come radici, quei colossi di marmi, della città attorno; e madri, cui comunque anche da lontano, o col ricordo, si ritorna. Segni di pietra delle origini del nostro vivere in co­munità.
Per questo il blitz di un giudice sco­nosciuto in una piccola città lontana addolora. Quella chiesa è un cuore. Alla gente è stato detto, in un meta­linguaggio trasparente, che il cuore comune è depositario forse di vergo­gnosi segreti. Lo si è forzato, violato, per cercarli. E anche se niente è sta­to trovato il senso di una profanazio­ne rimane, insieme agli indimostrati ma angosciosi dubbi seminati; come se proprio la radice di quella città, di quel popolo si volesse incrinare.
«Avvenire» del 26 giugno 2010

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