30 luglio 2010

Ai confini della vita la solidarietà esige di più

Le storie parallele di Richard e Tony
di Gian Luigi Gigli
Storie parallele dalla Gran Bretagna. Storie drammatiche, ai confini della vita. Due pazienti, Richard Rudd e Tony Nicklinson, resi totalmente dipendenti da un trauma cranico (Richard) e da un ictus ( Tony).
Richard aveva detto a suo padre di non voler vivere attaccato a una macchina. Ripresa coscienza, però, riesce in extremis a far sapere con l’inatteso movimento degli occhi di aver cambiato idea, proprio quando ormai stanno per spegnergli il ventilatore. Tony invece, costretto da cinque anni a comunicare anch’egli solo con gli occhi, decide che quella per lui non è più vita. Chiede perciò alla moglie di ucciderlo con un’iniezione letale e avvia l’iter giudiziario per evitarle i rigori della legge, se e quando lo aiuterà a uscire di scena.
Entrambe volontà determinate di persone al culmine della propria fragilità, ma con richieste opposte. In Richard prevale l’istinto vitale, a dispetto di ogni limitazione, che per lui come per Tony è totale. Il testamento biologico si rivela lo strumento scivoloso che è, specie quando manca di attualità e le decisioni non sono affidate a un testo scritto ma a confidenze riferite da altri. La lezione che va tratta è che mai vanno rese vincolanti le dichiarazioni anticipate del paziente, salvaguardando la sua libertà di cambiare opzione per il proprio futuro, fosse pure all’ultimo istante.
Analogo ma paradossalmente diverso è il caso di Tony, nel quale invece prevale il rifiuto della propria condizione di assoluta dipendenza dagli altri, non perché dolorosa o terminale ma proprio perché privata di ogni autonomia e – secondo lo stesso Tony – anche della dignità. La legge britannica oggi vieta l’eutanasia attiva: ma com’è già accaduto con la recente apertura di Londra alla non punibilità di chi aiuta il suicidio altrui all’estero, ora ci si industria per depenalizzare l’omicidio del consenziente, travestendolo con sembianze compassionevoli.
Tutti siamo lieti per il ripensamento di Richard, ma è la decisione di Tony a darci angoscia. Una domanda emerge inevitabile dallo stridente contrasto delle due vicende: cosa dire a chi desidera la morte, per dissuaderlo? Non basterà ricordargli che la sua scelta non è legalmente possibile: la battaglia legale che ha intrapreso mira infatti ad aprire una breccia nel diritto. Forse occorre ricordare a lui – e anche a noi stessi – che tutti siamo stati totalmente dipendenti, e torneremo a esserlo invecchiando. E non è per la totale mancanza di autonomia che la dignità di ciascuno viene meno.
Vorremmo però anzitutto dire a Tony, appassionatamente, che la sua vita ci è preziosa, è un bene per tutta la società anche in quelle condizioni estreme, e che saremmo tutti più poveri se si arrendesse davvero. Ci è impossibile restare a guardarlo mentre si consuma un lento omicidio, anche se avviene per mano di sua moglie e la vittima è consenziente. Non vogliamo restare inerti perché siamo consapevoli che, se Tony dovesse veramente morire per mano della persona che gli è più cara, un altro giudice domani potrebbe autorizzare un’iniezione (naturalmente 'compassionevole') anche per spegnere altre vite, preziose al pari della sua. Come quella di chi abbia manifestato per iscritto una volontà simile a quella di Tony e che, a differenza di Richard, non siano poi riusciti a comunicarci di aver cambiato idea. Ma è anche il caso di chi per la minore età o l’incapacità mentale ha dovuto affidare la sua vita nelle mani di un tutore, capace all’occorrenza di decidere per la morte «nel miglior interesse del paziente» se ai suoi occhi (anche se padre, madre o coniuge) quella vita non ha più i contorni di una pietra preziosa ma solo le caratteristiche di un rottame inutile.
Non possiamo far finta di niente di fronte alla richiesta di Tony, perché siamo consapevoli che ci sono in giro tante altre persone in difficoltà che ascoltano ogni giorno proclami simili ai suoi sulla mancanza di senso e di dignità per una vita ridotta in condizione di dipendenza e spinta fino a sentire il dovere morale di uscire di scena, per cessare di essere di peso ai propri cari. I tanti Tony da assistere educano anche noi 'sani' a non smarrire il significato della solidarietà.
«Avvenire» del 30 luglio 2010

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