26 luglio 2010

Bell’amore: verso una nuova grammatica

È proprio del cristianesimo il saper intercettare questa dinamica fondamentale della vita umana, legando amore e bellezza. Eppure nel momento attuale le relazioni tra uomo e donna vengono sottoposte a pesanti prove – non ultimo lo scandalo pedofilia – fino a smarrire l’abc degli affetti
di Angelo Scola
Casto è l’uomo che sa «tenere in ordine» il proprio io. Lo libera da un erotismo apertamente rivendicato e vissuto, fin dall’adolescenza, in forme sempre più contrattuali e senza pudore. Certo, l’amore è uno in tutte le sue forme, ma anche quando arriva a ridursi a comportamenti quasi animaleschi esprime, in modo del tutto distorto, una domanda di verità. Nessuno uomo può essere casto se non stabilendo liberamente una gerarchia di valori
La visione cristiana lega l’amore alla bellezza. Il Libro del Siracide parla di 'bell’amore'. In tal modo il cristianesimo ha la pretesa di intercettare una delle dinamiche fondamentali della vita dell’uomo. Questo dato, tuttavia, non può ignorare le pesanti prove cui oggi sono sottoposte le relazioni, anche le più intime, come quelle tra uomo e donna, tra marito e moglie, tra genitori e figli. L’amore non è mai stato una realtà a buon mercato, tanto meno lo è oggi. Proprio nelle relazioni amorose si avvertono gli effetti della difficile stagione che stiamo vivendo. È mutata la grammatica degli affetti, anzitutto nel suo elemento determinante che è la differenza sessuale. Nell’attuale e magmatico contesto culturale si può ancora ragionevolmente credere nella proposta cristiana del bell’amore? Come tacere inoltre, di questi tempi, la bufera che ha investito la Chiesa cattolica per il tragico scandalo della pedofilia perpetrata da chierici e talora coperta per negligenza o ingenuità dal silenzio di autorità ecclesiastiche? Lo scandalo pedofilia, con l’effetto di un detonatore, sembra a molti aver ridotto in frantumi la proposta degli stili di vita sessuale e la visione dell’uomo ad essi sottesa che da secoli la Chiesa persegue. Come pastore non ho una competenza specifica per tentare una qualche risposta circa la natura e le conseguenze di simili inaccettabili abusi. Mi sembra tuttavia che le parole-chiave – 'misericordia', 'giustizia in leale collaborazione con le autorità civili' ed 'espiazione' – indicate con addolorata forza da Benedetto XVI nella Lettera ai cristiani di Irlanda, consentano di affrontare ogni singolo caso, dal momento che, come bene è stato detto, anche uno solo è di troppo. Il Papa non si sottrae alla corresponsabilità che ne viene ad ogni membro dell’unico corpo ecclesiale e, in particolare, del collegio episcopale. È uno scandalo che tocca l’intera Chiesa, chiamata ad una profonda penitenza, ad andare alle radici della misericordia, cioè all’incontro personale con il Tu di Cristo. Anche per queste ragioni sento la necessità di affrontare di petto la domanda circa la credibilità e la convenienza della proposta cristiana in tema di sessualità e di bell’amore. Come questa radice costitutiva del desiderio dell’uomo può essere da lui concretamente vissuta? Una sofisticata risposta ci viene dalle neuroscienze. In particolare le neuroscienze dell’etica si sono poste il problema dell’amore nel quadro del loro tentativo di spiegare in termini puramente neuronali il decisivo interrogativo antropologico: «Cosa significa realmente esistere come esseri pensanti (coscienti)?» (Neil Levy).
Helen Fisher, antropologa americana, ha attribuito un’importanza considerevole al cosiddetto stadio dell’amore romantico (romantic love).
Esso – con l’attrazione sessuale (libido o lust) e con l’attaccamento (attachment) – si ridurrebbe, a detta dell’autrice, ad una delle tre reti primordiali del cervello attraverso le quali si snoda l’intera parabola affettivo-relazionale tra uomo e donna. Non mi pare azzardato ravvisare in simili posizioni il tentativo di considerare l’uomo come puro esperimento di se stesso, secondo la forte ma emblematica espressione del filosofo della scienza Jongen.

IL DATO INCONTROVERTIBILE: L’IO-IN-RELAZIONE
L’alternativa nasce dall’ascolto dell’esperienza umana comune. Essa rivela che l’altro/gli altri non sono una mera aggiunta all’io, ma un dato a lui originario. La personalità di ciascuno è immersa in una trama di relazioni: il dato relazionale è incoercibile. Fin dal grembo di sua madre ogni uomo, come figlio o come figlia, è situato in una relazione costitutiva. La sua stessa nascita, per quanto potrà essere manipolata in laboratorio, custodisce il mistero dell’alterità: nessun uomo potrà mai auto­generarsi. La prospettiva antropologica dell’io­-in-relazione, accolta in tutta la sua ampiezza, ci porta a considerare in modo adeguato la differenza sessuale. Essa si rivela anzi come il luogo originario che ci introduce al rapporto con la realtà. È la prima ed insostituibile scuola per imparare l’alterità. Quando l’uomo e la donna si incontrano sorge in loro l’inevitabile domanda circa il proprio essere. Potremmo esprimerla così: chi sono io che incontrando te incontro me stesso? In quanto situato nella differenza sessuale l’altro da me mi 'sposta' (dif­ferenza) in continuazione, impedendomi di rimanere rinchiuso in me stesso. Essere situati nella differenza sessuale si rivela pertanto come un grande dono che, bene inteso, diventa diffusivo di amore e di bellezza. Qui sta l’inestirpabile radice della fecondità. L’amore non è mai un rapporto a due. Infatti la differenza uomo-donna, con questo suo valore originario, trova il suo fondamento nella differenza delle Tre Persone nell’unico Dio. Con la sua morte e resurrezione Gesù Cristo ci ha liberati dalla paura della morte (cfr. Eb 2,14-16). Ciò è decisivo per vivere in pienezza gli affetti che si inscrivono primariamente all’interno dell’uomo-donna (differenza sessuale). La paura della morte, infatti, appare spesso la segreta padrona delle relazioni tra l’uomo e la donna, tra i genitori e i figli.
La proposta cristiana indica un percorso di vita che conduce a quella soddisfazione e a quella gioia cui il desiderio rettamente inteso spalanca l’uomo. Come educarci concretamente a vivere gli affetti? Emerge in proposito una grande parola oggi purtroppo caduta in disuso: castità. Essa s’inscrive nella struttura stessa del desiderio come la virtù che regola la vita sessuale rendendola capace di bell’amore

LA CASTITÀ: UNA PRATICA CONVENIENTE
La proposta cristiana circa la sessualità e il bell’amore indica un percorso di vita che conduce a quella soddisfazione e a quella gioia cui il desiderio rettamente inteso spalanca l’uomo. Come educarci concretamente a vivere gli affetti secondo questa integralità ed autenticità? Emerge in proposito una grande parola oggi purtroppo caduta in disuso: castità. Se correttamente intesa, essa si rivela inscritta nella struttura stessa del desiderio come la virtù che regola la vita sessuale rendendola capace di bell’amore.
Casto è l’uomo che sa 'tenere in ordine' il proprio io. Lo libera da un erotismo apertamente rivendicato e vissuto, fin dall’adolescenza, in forme sempre più contrattuali e senza pudore. Certo, l’amore è uno in tutte le sue forme, ma anche quando si riduce ad un comportamento quasi animalesco, l’amore esprime, in modo del tutto distorto, una domanda di verità. Nessuno uomo può essere casto se non stabilendo liberamente una gerarchia di valori.
Se noi disaggreghiamo 'venere', eros ed agape (Lewis) ci condanniamo alla rottura tra la dimensione emotiva e quella del pensiero, di cui la morte del pudore è il sintomo più grave. A queste condizioni l’esperienza del bell’amore diviene impossibile e il rapporto amoroso è ridotto a una mera abilità sessuale, veicolata da una sottocultura delle relazioni umane che si fonda su un grave equivoco: sull’idea, del tutto priva di fondamento, che nell’uomo esista un istinto sessuale come negli animali. Invece è vero il contrario, come dimostra certa psicanalisi (Giacomo Contri): anche nel nostro inconscio più profondo tutto l’io è in gioco. La castità mette in campo un’esperienza comune a tutti. In ogni ambito della sua esistenza l’uomo sa bene di non poter trovare soddisfazione senza sacrificio. Il sacrificio è una strana necessità, ma è la strada che assicura il godimento. Devo giungere a scoprirne la convenienza, cioè la sua intrinseca ragionevolezza per la piena riuscita della mia umanità.
Esso è condizione e non fine. La virtù della castità è una grande scuola al valore misteriosamente positivo del sacrificio. Essa chiede la rinuncia in vista di un possesso più grande. Posso rinunciare se sono certo che questa rinuncia mi fa possedere in pienezza il bene che voglio, come soddisfazione del mio desiderio. Il sacrificio non annulla il possesso, è la condizione che lo potenzia. Il puro piacere non è autentico godimento, tant’è vero che finisce subito. E se resta chiuso in se stesso lentamente annulla il possesso, lo intristisce, lo deprime.
A ben vedere l’uomo cerca quel piacere che dura sempre, cioè il gaudium (godimento). Sessualità ed amore su queste basi si realizzano compiutamente come possesso nel distacco (Luigi Giussani). In questa luce emergono in tutta la loro pienezza la vocazione alla verginità e al celibato così come quella al matrimonio indissolubile, fedele e fecondo tra l’uomo e la donna. La verginità come forma di vita riguarda solo alcuni chiamati alla imitazione letterale della umanità di Cristo e anticipa il compimento finale che riguarda tutti gli uomini.
Chi è chiamato alla verginità e al celibato non è uno che si sottopone a mutilazioni psicologiche e spirituali, ma un uomo che, praticando la castità perfetta, deve pazientemente arrivare all’unità spirituale e corporale del proprio io. La sessualità intesa come differenza non è riducibile alla dimensione genitale, a cui in nome del celibato si rinuncia. Tuttavia nella Chiesa di oggi è necessario uno sforzo educativo in grado di illuminare la scelta del celibato fin nelle sue motivazioni antropologiche.
Occorre approfondire un dato lasciato un po’ in ombra. Mi riferisco alla natura ’amore per sua natura chiede il 'per sempre', nonostante l’umana fragilità. È nell’indissolubilità del matrimonio che la relazione tra l’uomo e la donna raggiunge la sua vera dignità. L’idea di una revocabilità del dono ferirebbe mortalmente il mistero nuziale e renderebbe inautentica la relazione stessa. Il bell’amore dunque è l’amore casto, quell’amore che entra in rapporto con le cose e le persone non per la loro immediata apparenza, in sé transitoria, né per il tornaconto che ne può ottenere. Il distacco chiesto nell’amore casto è un entrare più in profondità nel rapporto con Dio, con gli altri e con se stessi.

Lo scandalo pedofilia sembra a molti aver ridotto in frantumi la proposta degli stili di vita sessuale e la visione dell’uomo ad essi sottesa che da secoli la Chiesa persegue. Ma le parole chiave – 'misericordia', 'giustizia in collaborazione con le autorità civili' ed 'espiazione' – indicate con addolorata forza dal Papa consentono di affrontare ogni singolo caso, dal momento che anche uno solo è di troppo

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Neil Levy è ricercatore presso il centro di Filosofia applicata ed etica pubblica dell’Università di Melbourne, in Australia, e al Programma di etica delle nuove bio-scienze a Oxford. I suoi studi si concentrano sulle relazioni tra la teoria e la pratica dell’etica e di altre discipline, dentro e attraverso la filosofia. In italiano è stato tradotto il suo Neuroetica. Le basi neurologiche del senso morale (Apogeo, pagine 346, euro 18,00), nel quale riflette su cosa implichi per le teorie etiche il fatto che prima di dare un giudizio morale, o di decidere di mettere in atto un’azione che ha un’implicazione morale, si attivano determinate aree del nostro cervello, o su cosa voglia dire commettere un’azione volontaria e quali sono le condizioni in cui un individuo è responsabile delle sue azioni. Levy mette in luce le implicazioni degli studi empirici sulle basi neurologiche del senso morale e dell’utilizzo delle neurotecnologie sulle teorie etiche esistenti ci conduce nell’esplorazione di noi stessi e della nostra mente.

Antropologa biologica, Helen Fisher è membro del centro per gli studi sull’Evoluzione umana del dipartimento di Antropologia dell’Università Rutgers (Stati Uniti). Nelle sue ricerche si occupa dell’evoluzione e del futuro della sessualità, dell’amore e del matrimonio umano, oltre che delle differenze di genere nel cervello e di come i vari tipi di personalità incidendo sulle scelte affettive. Corbaccio ha dato alle stampe il suo Perché amiamo? , nel quale, basandosi su anni di ricerche compiute con un gruppo di neuroscienziati, e che ha portato a delle conclusioni solo ipotizzate dagli psicologi, mostra che quando ci si innamora vengono attivate aree specifiche del nostro cervello, che si sono sviluppate in milioni di anni.
«Avvenire» del 18 luglio 2010

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