26 luglio 2010

Coscienza, la casa di credenti e atei

Lo studioso Usa Novak riflette sul neo-ateismo di Dawkins e rilancia: già i classici antichi indicavano nell’intimo dell’uomo il luogo di Dio
di Carlo Cardia
Con un libro denso e vivace – Nes­suno può vedere Dio – Michael No­vak discute con gli esponenti del­la cultura ateistica più recente e contesta le critiche, spesso aggressive e virulente, alla religione e al cristianesimo. Non ogni tesi di Novak è condivisibile, e v’è qual­che traccia di ingenuità americana, ma l’argomentare è incalzante, tocca aspet­ti classici del pensiero razionalista, rifor­mulati da Sam Harris, Daniel C. Dennet, Richard Dawkins. I loro testi, dice Novak, hanno l’obiettivo primario di «demolire le pretese morali e intellettuali del cristianesimo», «accelerare la scomparsa della fede biblica in America».
Il topos più conosciuto delle filosofie scet­tiche è noto. La fede, il colloquio che l’uo­mo instaura con Dio, sono pure illusioni, si fondano su fragilità personali, posso­no consolare ma sono prive d’ogni possibile verifica. Si ripropone la distruttiva critica del materialismo ottocentesco, perché a sconfiggere la fede basta il ro­vesciamento della piramide: non è Dio che parla all’uomo, è l’uomo che parla con un Dio inventato, per entrare in una realtà virtuale, dove tutto è bello, giusto, santo. Però, poiché il mondo non è nulla di tutto ciò, ne consegue che uno dei mas­simi insegnamenti evangelici, per il qua­le il regno di Dio è dentro di noi, è solo e­pifenomeno dei caratteri deboli. Novak confuta l’assioma ateistico e ricorda ai suoi interlocutori atei che nel dialogo con Dio l’uomo esalta le proprie capacità in­tellettive, riflette su se stesso, pone do­mande esigenti per intravedere le risposte ultime, motiva il proprio agire, si ar­ricchisce interiormente. La centralità del­l’assunto ateistico, e di quello cristiano, sta nella funzione che la coscienza svol­ge nell’esperienza umana, indirizzando­la e migliorandola, svilendola o depri­mendola. Ma per gli atei la coscienza de­cide tutto da sola, per i cristiani essa ha nel profondo il seme della verità e del be­ne, può parlare con Dio. Senza la maturazione giudaico-cristiana, l’uomo mo­derno non esisterebbe, parte della pro­duzione intellettuale e spirituale sarebbe impedita: dall’arte alla filosofia, dalla sco­perta delle scienze naturali alla teologia, al compimento di gesti che trascendono l’interesse egoistico.
Non tutto è scritto nel Vecchio e Nuovo Testamento, o in altri testi sacri, ed alcu­ne verità sono state intuite da chi avver­tiva le angustie del politeismo. Frammenti di grande saggezza si trovano nella classicità, ad esempio in Seneca che in una Lettera a Lucilio lo invita a non avvici­narsi all’orecchio di un idolo per sapere ciò che vuole la divinità, perché in realtà «Dio è vicino a te, è con te e dentro di te». I colloqui con Dio hanno tante modula­zioni. Di gioia, quando l’uomo ammira l’armonia che lo circonda e ringrazia per i doni ricevuti; ma anche di dolore e di ri­morso, come quando Caino cerca di giu­stificare nel proprio intimo, cioè di fron­te a Dio, il delitto massimo che ha com­piuto, e l’ha travolto. Vi sono dialoghi di disperazione, se la sventura ci investe e ci chiediamo il perché del dolore, della malvagità, restiamo spaesati, quasi sentiamo il silenzio di Dio e della nostra anima. Ed esistono i colloqui diretti a scegliere tra il bene e il male, confessare le colpe e ri­prendere la strada, capire ciò che siamo e vogliamo davvero. L’uomo non può sfio­rare la trascendenza, ma sa che la sua a­nima «ha sete di Dio, del Dio vivente; quando verrò e vedrò il volto di Dio?» (Sal, 42-43, 2-4). L’uomo vede l’ingiustizia, ma chiede a Dio di concedere «la tua giusti­zia ai retti di cuore» (Sal, 36, 11); per chi conosce la malattia è scritto che sarà «beato l’uomo che ha cura del debole» e «il Signore lo sosterrà sul letto del dolore». E soprattutto l’uomo compie il male e confessa a Dio: «Le mie colpe mi op­primono e non posso più vedere, ma tu o Signore degnati di liberarmi, accorri in mio aiuto» (Sal, 40, 13-14).
Infine, c’è lo scandalo del dolore, del ma­le nel mondo, cui si reagisce in modo di­versi. Tanti gridano e protestano con sé stessi e con Dio, come fece a lungo Giob­be. Osserva Novak che «non c’è nulla di sbagliato nel protestare, nulla di sbaglia­to nel lottare contro Dio» anche perché Dio stesso dice nella Bibbia: «Venite e di­scutete con me». Ma, aggiunge Novak, ci sono molte «persone che invece dicono semplicemente: 'Sia fatta la Tua volontà' E da ciò ricevono calma e forza». Nella sofferenza, e nelle prove più dure, sta la difficoltà ma anche il possibile trionfo della conoscenza di Dio. Può essere il trionfo di chi ha fatto il male per tanto tempo e ritrova il perdono, che lo stupi­sce perché si era quasi condannato da so­lo. Si può avere perfino il trionfo appa­rente del male che piega il cuore dell’uo­mo, lo porta ad annientarsi, respingere la fede, chiudersi nell’amarezza senza fine. In questo caso è l’uomo che interrompe il colloquio con Dio, non il contrario, e resterà il mistero di una misericordia di­vina che si dispiegherà nel consumarsi dei tempi quando a tutti sarà permesso conoscere ogni cosa.

Michael Novak, NESSUNO PUÒ VEDERE DIO. Il destino di atei e credenti, Liberal Edizioni, pp. 300, € 22,00
«Avvenire» del 17 luglio 2010

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