26 luglio 2010

Il radicato pregiudizio pan-statalista che grava sulla scuola paritaria

Un soggetto privato può svolgere un servizio pubblico
di Giuseppe Dalla Torre
Il decennio trascorso dall’entrata in vigore della legge n. 62 del 2000, sulla parità scolastica, ha messo in evidenza quanto siano radicati e duri a morire tre pregiudizi che, in maniera diversa, impediscono all’Italia di divenire anche in tema di scuola un Paese normale, e di perdere il poco invidiabile primato di essere tra gli ultimi in Europa. Anche la laicissima Francia o la Spagna zapateriana hanno leggi che sostengono la scuola non statale, per non parlare delle democrazie del nord Europa, avanzatissime al riguardo.
Il primo pregiudizio è nella identificazione di pubblico con statale e nella contrapposizione con il privato. Da questa erronea impostazione discende l’ulteriore pregiudizio per cui il pubblico così definito è bello, laico, non discriminante, di qualità, e dunque da preferire; il privato ne sarebbe un pallido e non preferibile surrogato. Si tratta di una concezione pan-statalista, eredità del passato. La realtà è tutt’altra e sta a dimostrare, purtroppo, che gli italiani – compresi molti cattolici – non hanno compreso la lezione di Luigi Sturzo. Nel senso che 'statale' fa riferimento ai profili soggettivi dell’ente gestore l’attività scolastica, 'pubblico' invece ai profili oggettivi del servizio svolto. Ci può essere dunque un soggetto privato che svolge un servizio pubblico, perché rivolto alla generalità: è proprio ciò che accade con la scuola paritaria.
Il secondo pregiudizio nasce da una strana concezione del principio di sussidiarietà orizzontale, per cui il privato interverrebbe dove il pubblico­statale non riesce ad arrivare, e non il contrario, come dovrebbe essere secondo un corretto rapporto sussidiario tra Stato e società civile.
Pure qui si ha un ulteriore, connesso pregiudizio: quello per cui la materia dell’educazione e dell’istruzione, proprie della funzione scolastica, sarebbe di per sé sottratta alla sussidiarietà. È una posizione assolutamente infondata, che non considera una serie di disposizioni costituzionali, a cominciare dalla fondamentalissima contenuta nell’articolo 30 della Costituzione, che afferma il dovere-diritto dei genitori di «istruire ed educare i figli». E fino a prova contraria la famiglia non è Stato, ma società civile.
Il terzo pregiudizio è coevo alla nascita della Carta fondamentale e così radicato, da aver sostanzialmente impedito alla legge n. 62 di dispiegare tutte le sue potenzialità. Mi riferisco all’antica querelle del divieto di finanziamento pubblico alla scuola privata, che sarebbe contenuto nel famoso inciso «senza oneri per lo Stato» di cui al terzo comma dell’articolo 33 della Costituzione, riguardante le scuole «private». I lavori preparatori del testo costituzionale illustrano bene, per chi è scevro da pregiudizi, il senso di quell’inciso, vale a dire che il diritto di istituire scuole private non comporta anche il diritto ad avere un finanziamento; tuttavia questo non è escluso, quindi è possibile. Ma la sistematica dell’articolo 33 della Costituzione dimostra chiaramente che l’inciso in questione, contenuto nel terzo comma dell’articolo 33, riguarda la scuole ivi considerate, cioè quelle meramente private; non riguarda le scuole paritarie, istituto nuovo previsto dalla Costituzione in un altro comma dello stesso articolo, vale a dire il quarto.
L’auspicio è che il nuovo decennio che si apre veda finalmente completare con il tetto le mura della casa. Fuor di metafora, che la scuola paritaria conosca finalmente anche il giusto sostegno finanziario.
«Avvenire» del 25 luglio 2010

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