27 luglio 2010

Il segno di Duisburg nell'Europa che rivuole catacombe

Oltre la secolarizzazione
di Davide Rondoni
La parata dell’amore, la love parade si è trasfor­mata in un incubo. In una tragedia. Come se nell’inutile, vano macello di questi poveri ragazzi, tra cui una italiana – bella e sensibile – di 21 anni, ci fosse un marchio strano, un avviso strano di que­sta epoca strana. Come in altri casi, ad esempio nell’indimenticato stadio Heysel, lo show è anda­to avanti. Dopo molte ore, molti delle migliaia dei ragazzi partecipanti non sapevano nulla di quanto acca­duto, storditi dal ballo, dal bere e da altro. Ma l’av­viso, il segno che leggiamo dentro questo ballare che si trasforma in morte, dentro questa parata che da eccitante si fa morente, non è quello immedia­to, evidente che hanno colto subito gli stessi orga­nizzatori. Che hanno deciso: mai più. Non è solo un segno, ennesimo, di «eccesso giovanile» su cui non è giusto speculare. E non si tratta solo del se­gno che qualcuno ha chiamato del fascino della «tribù».
È vero, c’è in questo potente richiamo a radunar­si, a 'sentirsi' vicini, a condividere ritmo e corpo, a condividere modi e gergo, sì c’è un segno del­l’ancestrale richiamo degli uomini a fare tribù. Ri­chiamo che le esperienze e i mezzi della globaliz­zazione, la coscienza delle distanze e dei rapidi mo­di per superarle, non hanno illanguidito, semmai fortificato e reso potente, più esplosivo. Ma c’è di più di quell’antico segno. La parade è un corteo. U­na processione. So che storceranno il naso. Ma è così. Si tratta di una ripresa della usanza antica che, sempre a sfondo religioso, ha mosso cortei di ogni genere, per celebrare dei, imperatori o generali che si credono dei, per ringraziare il cielo di vittorie, per supplicare interventi celesti, per la fine di ca­lamità, o per l’arrivo delle piogge. È un grande ri­to. Secolarizzato, come dicono, con una parola che vuol dire poco o niente. Che cosa ormai è secola­re e cosa no? Davvero ci sono differenze, in questa epoca di suggestioni e di superstizioni?
Il fatto è proprio questo, il segno purtroppo scrit­to anche con il sangue, come sempre accade quan­do la nostra attenzione intorpidita deve riscuoter­si e guardare. Un grande rito nel cuore d’Europa. Un grande rito che somiglia (nella sua ecceziona­le differenza) ai grandi ritrovi dei giovani lanciati da Giovanni Paolo II – ancora storceranno il naso quel­li di prima. Un rito di una «tribù» che ha come dei le immagini dell’Amore, della Musica, e della loro medesima Tribù. Come antichissimi riti. Che segno, che avviso per coloro che pensano che l’uomo sia progredito abbandonando quei culti e quei riti. Che segno per coloro che anche sulla pagine dei nostri giornali e nei parlamenti europei si consumano il cervello per mostrare che credere in Gesù Cristo e mostrare segni cristiani sia oscuro e antidemocra­tico mentre avere altre fedi, altre superstizioni, e sì, altri riti e 'parate' no? Che avviso, che segno per tali cervelli torbidi e oziosi. La loro lotta senza quar­tiere al cristianesimo, alla Croce e al Crocifisso, pun­ta a far scomparire o a far rientrare nelle catacom­be i riti cristiani, le processioni, le pre­ghiere. E se si faranno largo – e già si fanno largo – altre processioni, altri riti, uomini dediti ad altri dei? Altro che secolarizzazione. Come per i primi cristiani si tratta di vi­vere in un mondo pieno di a­doratori. Di riti strani, dai ri­svolti spesso violenti, di po­teri oscuri. Questo il segno che arriva da Duisburg. Lo stiamo leggendo?
«Avvenire» del 27 luglio 2010

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