27 luglio 2010

La guerra dell'e-book

Santachiara: "Nessun accordo con gli editori"
di Loredana Lipperini
Il più importante agente italiano spiega perché ha invitato i suoi autori a non cedere il copy per la versione elettronica dei libri: "Le offerte sono troppo basse, meglio aspettare"
L'entusiasmo generale verso gli e-book non contagia necessariamente gli scrittori. E non solo quelli miliardari come J. K. Rowling, che non ha mai nascosto la propria diffidenza nei confronti del libro elettronico e che solo recentemente starebbe (ma, si dice, a carissimo prezzo) convertendosi al digitale. Anche in Italia c'è chi si dichiara prudente, almeno finché non si chiariscono le posizioni degli editori per quanto riguarda i compensi di chi scrive. Pochi giorni fa, l'invito alla prudenza è venuto da Roberto Santachiara, uno dei maggiori agenti letterari italiani: aspettiamo a cedere i diritti digitali dei testi, ha scritto ai propri autori (fra gli italiani, Wu Ming, Carlo Lucarelli, Roberto Saviano, Simona Vinci, Valeria Parrella, Letizia Muratori, Giordano Bruno Guerri, fra gli stranieri, Stephen King, Thomas Pynchon, James Ellroy, Jefferey Deaver, Ian McEwan, James Hillman). E gli autori si sono detti d'accordo. Perché, in tanto tripudio per il sopravanzare dell'e-book, c'è qualcosa che ancora non è stato detto, e che penalizzerebbe proprio chi scrive. Cosa?
"È molto semplice", dice Santachiara. "Ho ragionato sulla migliore offerta ricevuta per quanto riguarda i diritti d'autore sugli e-book. Un'offerta, peraltro, standard: perché quasi tutti gli editori, soprattutto i tre grandi gruppi italiani, si orientano sulla stessa ipotesi. Ovvero: nessun nuovo anticipo per l'autore, e una royalty attorno al 25%. Ma sul netto defiscalizzato, e non sul prezzo di download".

Cosa significa esattamente?
"Faccio un esempio. Se un e-book viene venduto a 10 euro, il 20% va subito all'ufficio Iva. Da 10 passiamo a 8. Da cui si deve detrarre il 30%, ovvero 2,4 euro, per spese e sconti ai distributori di rete. Restano 5, 6 euro. Ovvero, la cifra su cui viene applicata la royalty proposta. All'autore, dunque, arrivano 1,4 euro lordi a download. Se ne deduce che tutti guadagnerebbero molto più dell'autore: senza il quale non ci sarebbe l'e-book, perché bene o male la sostanza dell'intero business è data dall'opera letteraria. In un accordo serio, l'autore dovrebbe prendere il 50% e suddividere i proventi netti con l'editore. Altrimenti, bisognerebbe mettere in copertina il nome del maggior beneficiario dell'operazione, e scrivere che il romanzo in questione è firmato da Carlo Lucarelli e dall'Ufficio Iva".

Dunque, l'autore vedrebbe diminuire le proprie royalties per l'e-book nonostante ci siano meno spese oggettive?
"Infatti. Non solo ci sono meno costi nel produrre il libro, ma soprattutto non ci sono le rese e non c'è la gestione di un magazzino. Un libro che vende bene nel complesso può diventare un affare negativo per un editore se ha un numero di rese eccessive. Con gli e-book, l'editore non corre alcun rischio. Un panorama come quello che si va delineando è sintomo di un'assoluta mancanza di progettualità. Ed è assurdo, perché gli editori italiani non sono né isolati, né sprovveduti, né privi di rappresentanza parlamentare. Solo che, invece di ragionare sull'Iva, si sono dedicati a campagne a favore della lettura di dubbia efficacia. Quanto all'Aie, non mi è ancora ben chiaro di cosa si occupi, dato che neppure sono riusciti a far rientrare l'abolizione delle tariffe postali agevolate per gli editori".

Quindi condivide l'operazione di Andrew Wylie, la cui agenzia letteraria ha chiuso un accordo con Amazon per distribuire in e-book i propri autori?
"Credo che il caso Wylie ponga un problema serio. Wylie è un agente, e come tale deve essere l'intermediario fra l'autore e l'editore. Con questa decisione, è come se avesse preso il posto dell'editore stesso, ponendosi come concorrente degli altri editori che pubblicano e-book. E questo non è corretto. Sia pure con l'arroganza del grande gruppo, diventa logica la presa di posizione di Random House, che non considera più Wylie come fornitore. Ma c'è un'altra considerazione da fare: Wylie si è accordato per la pubblicazione di una parte dei suoi autori e titoli: il ciclo del coniglio di Updike, Il lamento di Portnoy, Lolita. A ben vedere, non c'è nessun testo che non sia più che consolidato, e neanche un esordiente. Dunque, Wylie vende i diritti digitali di opere su cui un editore ha già investito. E su questa operazione sono in obiettivo disaccordo: bisogna garantire agli editori un'opzione sui diritti elettronici dei titoli che hanno già in catalogo, perché hanno lavorato e rischiato su quei testi. Dal mio punto di vista gli autori pubblicati dall'editore sono un patrimonio dell'editore, ed è giusto che lo rimangano. Il che non significa accettare qualunque offerta, naturalmente. Ma quando l'editore offre un accordo insoddisfacente per l'autore, al limite se ne cerca un altro, non ci si sostituisce a lui".

E dunque, se Amazon le offrisse 35.000 euro per un titolo?
"Andrei dall'editore del testo cartaceo e gli renderei nota l'offerta, chiedendogli di adeguarsi".

E per quanto riguarda i diritti digitali accordati? Si vocifera che l'e-book di Gomorra sarà fatto comunque.
"Ci sono dei contratti che alcuni miei autori hanno firmato prima di essere rappresentati da me: e, come è noto, gli editori fanno firmare agli esordienti dei veri e propri patti leonini. Quindi, purtroppo, nel caso di Gomorra la Mondadori ha legalmente il diritto, nonostante possa esprimere un mio parere negativo, di pubblicarlo in e-book. Altra cosa è quando si parla, genericamente, di diritti validi per "tutti i supporti a venire".

Questo non è sufficiente?
"A mio parere no. Se incidessi un libro sul marmo, sia pure col rischio di ottenerne un tascabile piuttosto pesante, potrei parlare di supporto. Se lo trasportassi su cera. Se affidassi le parole all'acqua che scorre, per essere poetici. Ma nel caso degli e-book non si può parlare di supporto".

E se un autore decide di fare a meno sia dell'editore che dell'agente? Prendiamo il caso dell'americano J. A. Konrath, che per gli e-book pubblicati attraverso il suo editore cartaceo, Hyperion, guadagna meno di 5000 dollari l'anno mentre, vendendoli su Amazon, ne guadagna quasi 30.000.
"Ma Konrath è stato pubblicato comunque, prima, da Hyperion. È facile stabilire di autopubblicarsi tramite Amazon quando c'è già stato qualcuno che ti ha lanciato in cartaceo. Voglio vedere cosa succederebbe a un autore sconosciuto se decidesse di vendere il primo romanzo su Amazon".

Diffida degli e-book?
"No. Ma bisogna ancora capire molte cose. Siamo un paese di pochi lettori, e quei pochi sono lettori forti che hanno come caratteristica la passione per l'oggetto libro. Ammetto di non saper prevedere il futuro. Ma per quanto riguarda il presente abbiamo un problema, e grave, di diffusione della lettura".

Qualcuno sostiene che abbiamo un problema di scrittura, e che le agenzie letterarie farebbero la loro parte nell'omologare il gusto dei lettori.
"Ma in Italia il numero degli autori italiani rappresentati da un agente è minimo. Nell'85% dei casi, gli editori fanno un'offerta diretta all'autore, con tutti i problemi che possono derivarne a livello di contratti per i primi libri".

Comunque la crisi del libro esiste, a suo parere?
"Le vendite sono in media basse. Ci sono alcuni libri che esplodono e altri che non vendono niente. Insomma, punte elevatissime, buchi profondi, e poche cose in mezzo. Il problema vero della scarsa diffusione della lettura è la scuola. Se la si distrugge, come sta avvenendo, è difficile avere future generazioni di lettori. Un paese civile si giudica delle scuole e dalle carceri. Ognuno può valutare il grado di civiltà del nostro".
«La Repubblica» del 27 luglio 2010

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