29 luglio 2010

Le promesse mancate del Dna: "Inattendibili i test in vendita"

In cambio di mille dollari promettono di rivelarci di cosa ci ammaleremo, ma sbagliano in due casi su tre. Il governo Usa smaschera il business online delle analisi fai-da-te: più che oracoli sono inganni
di Elena Dusi
Oscuri, ansiogeni, contraddittori: i test predittivi del Dna venduti da una ventina di aziende sono finiti nel mirino del "Government accountability office" (Gao), l'organismo governativo statunitense che ha deciso di mettere il naso in un mercato che per pubblicizzare se stesso spende 3 miliardi di dollari l'anno.
L'anonimo "paziente 3" per esempio, arruolato dalla Gao per il suo esperimento, ha spedito un campione di Dna alle quattro aziende chiedendo una valutazione sul suo rischio futuro di ammalarsi di cancro alla prostata. In due casi il responso è stato "rischio medio", in uno "rischio superiore alla media" e nell'ultimo "rischio inferiore alla media". Il "paziente 4" invece ha un pacemaker impiantato da 13 anni per combattere una pericolosa fibrillazione atriale. Ma il risultato del test del Dna cui si è sottoposto è in due casi "rischio inferiore alla media" per quanto riguarda questo disturbo, mentre gli altri due responsi parlano di "rischio medio".
Oltre che nel prevedere il futuro, le aziende si sono fatte trovare impreparate anche nell'analizzare il presente.
Pagare fino a mille dollari in cambio di tanto spavento e nessuna certezza medica è ormai routine per chi decide di affidarsi ai test del Dna online. Le società scientifiche di genetica di tutto il mondo raccomandano da anni di affidarsi solo a istituti seri, evitando la giungla di internet. Una legge che ponga dei paletti a un mercato che prospera soprattutto online è invocata da anni negli Stati Uniti, ma nessuno si è mai preso la briga di pestare i piedi a un business ormai ben maturo. Solo ora per la prima volta la Goa è andata a toccare con mano quale livello di imprecisione e raggiro abbia raggiunto un settore uscito dai confini della scienza per tuffarsi nella ricerca del profitto.
Ogni test genetico - in Italia come in molti paesi europei dove le regole sono certe - deve essere accompagnato da una consulenza medica. Un esperto deve spiegare al paziente quali sono i limiti dell'analisi e precisargli che il concetto di "rischio" è ben diverso da quello di una diagnosi certa. Ma la distinzione è saltata del tutto in una delle conversazioni fra la "cavia" usata dal Gao e il rappresentante dell'azienda contattato per un chiarimento sui risultati. "Quindi se sono ad alto rischio, vuol dire che mi ammalerò di cancro al seno?" chiede la paziente. "Sa, in effetti, è molto reale questa ipotesi" risponde il consulente al telefono senza troppi giri di parole.
In un'altra conversazione, il rappresentante dell'azienda suggerisce (in maniera completamente errata) che un Dna danneggiato possa essere riparato. "Davvero potete?" chiede il paziente. "Ma sì, certo, si chiama epigenetica. I geni non sono più visti come la fonte della nostra biologia, sono un sintomo". Il panorama non migliora quando si va a considerare la privacy. "Pensavo che sarebbe un'idea fantastica regalare alla mia fidanzata il test del suo Dna, insieme con il mio" propone uno dei finti pazienti arruolati dal Gao. "Grande idea" risponde il rappresentante dell'azienda. "Mi basterebbe - suggerisce il cliente - procurarmi un campione della sua saliva e spedirvelo".
Segnalare la presenza di una malattia, vera o presunta che sia, resta poi il modo migliore per vendere un farmaco. Così si svolge un'altra conversazione telefonica: "I miei genitori hanno entrambi problemi di colesterolo e ipertensione" racconta il rappresentante dell'azienda. "Così anch'io ce l'ho scritto nei miei geni. Ma io prendo il prodotto. Se non lo prendessi avrei gli stessi problemi". Semplici vitamine e antiossidanti sono gli integratori più venduti dalle aziende che effettuano test genetici predittivi, necessaria conseguenza di un'analisi minacciosa al punto giusto.
I risultati contraddittori riscontrati dal Gao non stupiscono Giuseppe Novelli, genetista e preside di medicina all'università romana di Tor Vergata. Che invita però a non confondere le distorsioni operate dal business con una scienza, quella della genetica, che ai pazienti ha invece molta serietà da offrire. "Non si tratta di problemi tecnici nel sequenziamento dei geni" spiega. "Le contraddizioni nascono da come i dati vengono interpretati. Ciascuna variante genetica può avere un peso più o meno grande nell'influenzare il rischio futuro di malattia. Ogni azienda decide in maniera autonoma quanti frammenti del Dna studiare e quanta importanza dare a ciascuna mutazione".
L'associazione tra una variante genetica e il rischio di ammalarsi è poi legata alla geografia. "Le malattie non sono equamente distribuite nel mondo, e ogni etnia ha vulnerabilità diverse" spiega Novelli. "Né in un'analisi genetica si può prescindere dai problemi di genitori e altri antenati o dallo stato di salute attuale del paziente. Il test del Dna da solo, senza queste altre informazioni, serve effettivamente a poco". I 5 o 6 laboratori privati che nel nostro paese effettuano test predittivi, fa notare Novelli, "non hanno mai visto fiorire i loro affari, anche se i costi sono paragonabili a quelli americani".
Paolo Vezzoni, ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ricorda che la nostra conoscenza delle varianti genetiche associate alle malattie è ancora limitata. "Ogni mese nella letteratura scientifica si legge di nuove scoperte. È un settore che sta maturando giorno dopo giorno e ancora dobbiamo capire quanto la singola variazione di un gene contribuisca ad aumentare il rischio di ammalarsi". Uno dei dilemmi irrisolti, spiega il ricercatore, è se una malattia genetica nasca da poche variazioni comuni a tutti i casi di malattia, o da un numero alto di variazioni assai diversificate tra loro.
"A dieci anni dal sequenziamento del Dna umano - sintetizza Vezzoni - la genetica è in quella fase grigia in cui deve soprattutto avere fiducia in se stessa e convincere gli altri della propria solidità. In Italia siamo poco abituati a pagare per ottenere prestazioni mediche, e il business dei test del Dna non ci tenta molto. Ma negli Stati Uniti il dibattito sulla regolamentazione o meno di questo mercato è molto vivo".
Ma anche negli Stati Uniti della genetica selvaggia le autorità nelle scorse settimane si sono viste costrette a porre un freno al business. È accaduto quando l'azienda Pathway Genomics ha deciso di distribuire i kit per l'esame del Dna direttamente nei supermercati della catena Walgreen. La Food and Drug Administration, autorità incaricata di regolamentare il mercato di farmaci e presidi medici negli Usa, è subito intervenuta con una lettera durissima, costringendo la Pathway a rimandare la distribuzione dei suoi kit a tempo indeterminato. Il rapporto del Gao potrebbe essere un altro segnale forte mandato alle aziende: il governo americano non tollererà che la giungla dei test si estenda oltre ogni limite. Prevedere un cambiamento del vento, per i manager che stanno cavalcando l'onda della genetica, questa volta, dovrebbe essere facile anche in assenza di un test accurato.
«La Repubblica» del 28 luglio 2010

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