26 luglio 2010

Libri in tivù, voltiamo pagina

In Italia, a differenza del caso «Apostrophe» in Francia, la letteratura sul piccolo schermo resta al palo. La colpa è della cultura «alta», poco adatta a questo medium. Il «j’accuse» di Aldo Grasso
di Aldo Grasso
E' il 1954: le segnalazioni librarie si al­ternano agli incontri con gli autori, nella prima rassegna della tv italia­na dedicata alla promozione della lettura.
Il commesso di libreria attesta l’orienta­mento pedagogico-divulgativo della Rai delle origini, come pure la scarsa capacità di rendere televisivo il soggetto della tra­smissione. Avviata nella fase sperimenta­le della tv, la rubrica risente dell’esitazio­ne dei programmisti, che la collocano ini­zialmente alla domenica, per spostare le successive sei puntate (trasmesse tra la fi­ne del 1953 e l’aprile del 1954) in orari e giornate differenti, generalmente con ca­denza quindicinale. A condurre gli incontri viene chiamato Franco Antonicelli. Amico di Benedetto Croce, membro del Comitato di liberazio­ne nazionale piemontese, ne ricopre la ca­rica di presidente nei giorni dell’insurre­zione di Torino. Nel dopoguerra, dopo un breve periodo alla direzione del Partito re­pubblicano italiano, aderisce nel 1953 all’Alleanza democratica nazionale, parte­cipando attivamente alla battaglia contro la «legge truffa». Infaticabile organizzato­re di cultura, fonda e dirige l’Unione cul­turale di Torino. Poeta e saggista, collabo­ra per vari anni a programmi culturali del­la radio e della tv. «Chi è un buon commesso di libreria?», si chiede Antonicelli. «È uno che sa di non es­sere lì a vendere una merce come un’altra, ma qualcosa di particolare qualità, da a­verci mani delicate, mente svelta, buona memoria, senso di opportunità, cono­scenza del mercato e familiarità con il pub­blico, così difficile e svagato e, perché no?, gusto e voglia di leggere, che non guastan davvero. È un informatore che sa di suo e dell’altrui, sfoglia i giornali di annunzi e­ditoriali, un poco anche le riviste lettera­rie, ritaglia persino qualche elzeviro».
Questa definizione di Antonicelli potreb­be essere la carta d’identità di tutte le tra­smissioni che si occupano di libri, di ieri e di oggi. Sul perché la televisione non rie­sca più a produrre trasmissioni culturali, sui motivi del disaccordo tra la tv e il libro sono state espresse di recente molte e au­torevoli opinioni. Tuttavia, le radici di que­sta incomprensione paiono antiche, e ri­guardano l’incompatibilità di linguaggi di­versi, il prevaricare di una tradizione ac­cademica anche dentro il piccolo scher­mo, la mancanza di una tradizione divul­gativa in campo culturale, la convinzione che la cultura televisiva, in quanto tale, possa, e anzi debba tranquillamente pre­scindere dal libro (tanto più che buona parte della narrativa moderna sembra già così largamente televisiva), l’implacabile ossessione secondo cui i libri in televisio­ne non facciano audience. Benedetto Croce sosteneva che uno scrit­tore non avrebbe mai dovuto pubblicare sulla quarta di copertina la propria foto­grafia. Non interessa l’immagine dello scrittore, diceva, ma solo la sua pagina. E­rano altri tempi, altre situazioni. Ma lo sco­po esplicito, persino enfatico, di tutte le rubriche che in tv sono state dedicate ai li­bri è sempre stato quello di «avvicinarci» allo scrittore, di «farcelo conoscere da vi­cino », di «intrattenerci» con lui. Non c’è scampo, è come sottostare a una legge an­cestrale: in Italia, i peggiori programmi cul­turali sono quelli che parlano esplicita­mente di cultura. È una regola teorizzata anni fa da Achille Campanile, e poi da Be­niamino Placido. L’impressione è che i programmi che pa­r­È lano di libri siano sempre un concentrato di altezzosità, di appartenenza, di pre­sunzione: si usano frasi roboanti, a effet­to, pour épater. Tipo: «La letteratura è da­re voce all’urlo inaudito che è sopito in noi».
È per questo che, a chiunque si accinga a presentare libri, consigliamo un prezioso suggerimento di Fruttero e Lucentini: «Si tratta di adeguare infine l’informazione li­braria ai media, al loro linguaggio, alla lo­ro struttura, al loro immenso pubblico. Si tratta di togliere di mezzo quei volentero­si ma squallidi personaggi incaricati fino­ra di presentare in studio le novità edito­riali, letterati d’azienda e di par­tito, critici maneggioni, gregari di terza pagina, ex centrocam­pisti della Normale, specialisti tutti-frusti, romanzieri falliti, ec­cetera; e di sostituirli con un ve­ro showman, un autentico uo­mo di spettacolo, un 'condutto­re' vivace, disinvolto, telegeni­co, un carismatico, torrenziale, salivoso book-jockey : ciao gen­te, eccoci di nuovo qui per la nostra Lit-Parade delle diciannove quarantaquattro minuti e venti secondi, puntuali come il vecchio Kant...». Se dunque il libro è ora presentato male, se il libro ha poco spazio, se il libro terrorizza i funzionari dell’au­dience, la colpa è tutta e soltanto dei con­duttori che non hanno mai saputo trova­re un modo divertente, accattivante, per presentare la loro inestimabile mercanzia. Sul libro si è così riversata una noia al qua­drato, un’atmosfera di tetraggine tale da scoraggiare il più volenteroso degli spet­tatori- lettori. Una proposta? Certo. Ed ec­co a voi i «New Arguments!!! Sì, gente, pro­prio loro, Larry Siciliano sax soprano, vio­la e violino, Leo Sciascia chitarra elettrica, basso e vocale, e al sintetizzatore il leg­gendario ’Pop’ Moravia in persona, live!!! Wow a tutti!!!».
«Seguiamo il consiglio di Fruttero e Lucentini: 'Adeguiamo l’informazione libraria ai media, togliamo dalla televisione i letterati di partito e d’azienda'. I romanzi possono fare audience»
«Avvenire» del 22 luglio 2010

Nessun commento: