16 luglio 2010

Lo sviluppo illusorio: crescere senza bebè

di Ettore Gotti Tedeschi
Domenica scorsa, 11 luglio, la Chiesa ha festeggiato San Benedetto, patrono d'Europa. A San Benedetto, noi europei, dobbiamo la nostra identità, anche se purtroppo un po' persa. Dobbiamo a San Benedetto le radici di quella «capacità imprenditoriale europea, di quella capacità di espansione costruttiva in altri continenti», come diceva Giovanni Paolo II. San Benedetto convertì anche i barbari di allora alle virtù del lavoro, alle scienze, alle arti. Andate al monastero di Subbiaco per capirlo. Oggi è lecito domandarsi chi siano i barbari del postmoderno.
Noi europei, per esempio, rischiamo di trovarci in una forma di nuova barbarie tecnologica-nichilista. Come scrisse Jean Guitton, «stiamo correndo il rischio di sotterrare in noi ciò che è essenziale» per fare le nostre scelte e viverle. Ma, se guardiamo indietro negli ultimi due decenni a come è stata rispettata la vita umana, la dignità della persona, il ruolo della famiglia, e guardiamo quale modello di sviluppo economico abbiamo scelto, forse dovremmo pensare che questo "essenziale" l'abbiamo già sotterrato.
Quanto alla decrescita economica prevedibile, questa non sarà voluta, come qualcuno auspica, bensì subìta, proprio come conseguenza della crescita truccata degli ultimi anni per compensare la crescita zero della popolazione nel mondo occidentale (o a sostenerne le spese). Così la prospettiva ora non è tanto di decrescita, bensì di ritorno a quella povertà conseguente alla non crescita, però corretta dal costo degli errori fatti per cercare di compensarla.
Gli ecomalthusiani, non pentiti, ancora oggi invitano a smetterla, una volta per tutte, di prolificare per evitare sovrappopolazione insostenibile, più che mai ora dopo la crisi. Senza spiegare come produrre ricchezza a sufficienza, in modo sostenibile e senza nuove bolle, per sostenere i costi fissi irriducibili del welfare grazie all'invecchiamento della popolazione che auspica di vivere, spendendo, fino a 120 anni, o più, grazie anche ai meriti assistenziali di don Verzé.
Ieri il processo di globalizzazione è stato accelerato per compensare la flessione dello sviluppo conseguente alla interruzione delle nascite, per diminuire i costi e crescere il nostro potere di acquisto. In sintesi, per compensare la non crescita di popolazione abbiamo forzato la crescita economica con mezzi prima opportuni (produttività e delocalizzazione), ma insufficienti, e poi rischiosi e insostenibili (debito).
È certo che in un sistema socieconomico si possa decidere di stabilizzare la popolazione interrompendone la crescita, ma si deve sapere cosa succederà grazie alla crescita dei suoi costi fissi per invecchiamento, grazie alla decrescita del risparmio delle famiglie non formate, grazie alla diminuzione dell'accesso di nuove forze al lavoro, nonché grazie ai pericolosi squilibri geopolitici. Se non lo si sa, si produce, come è successo, una illusione insostenibile. Paradossalmente per correggere gli scompensi della mancata crescita della popolazione si è forzati a produrre più crescita pro-capite, per assorbire i costi fissi cresciuti.
Si può perciò concepire un modello economico dove non cresce la popolazione? Certo, ma ci si deve rassegnare a diventare più poveri, a pagare più tasse. Ci si deve rassegnare ad aver meno risorse finanziarie da intermediare, da investire per l'ambiente, per sostenere i paesi poveri e le emergenze, a dimenticare i vantaggi della globalizzazione. La legge naturale è legge razionale. Che non lo sia però per tutti, è evidente. Era più facile farlo capire ai tempi di San Benedetto ...
«Il Sole 24 Ore» del 16 luglio 2010

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