27 luglio 2010

Quando i cristiani si «travestivano» da stoici

di Ilaria Ramelli
Dopo la persecuzio­ne di Domiziano, Traiano aveva sta­bilito che i Cristiani con­quirendi non sunt, ma, se denunciati, andavano processati e, se persevera­vano, condannati a morte. Adriano, pur interpretan­do la norma traianea in modo più favorevole ai Cristiani, non mutò lo statuto del Cristianesimo co­me superstitio illicita. Poi­ché i denunciatori erano privati ostili, i Cristiani do­vevano cercare di non at­trarre malevolenza e so­spetti. Se Ammonio e A­pollonio erano cristiani, si spiega la loro preoccupa­zione per l’ostilità esterna, che la comunità di Am­monio ha già sperimentato e spera che quella di A­pollonio possa evitare. An­cora alla fine della lettera Ammonio ripete di essere molto preoccupato «a causa di quanto sta accadendo». La situazione di pericolo descritta e con­nessa all’ostilità esterna si adatterebbe bene a quella delle comunità cristiane a Domiziano a Marco Aure­lio. La stessa preoccupa­zione per dissensi interni e attacchi esterni si trova nella lettera di Clemente Romano ai Corinzi, che ol­tretutto impiega lo stesso lessico di eiréne e homo­noia usato da Ammonio. Il termine più ricco del lessico della philia in Am­monio è philallelia, «a­more reciproco», che de­ve regnare nella comunità di Apollonio. La sua asso­ciazione con homonoia, esattamente come nella nostra lettera, si trova an­che nel cristiano Nilo di Ancira. Nei papiri philal­lelia è un unicum, e nei te­sti letterari è solo in auto­ri cristiani e in Esichio. L’u­so di prohairesis, due vol­te nella lettera, è interes­sante. Il termine appare in testi letterari, epigrafi e pa­piri, ed è proprio della ter­minologia filosofica, specialmente stoica; è impor­tante in Epitteto, cronolo­gicamente molto prossi­mo alla lettera. In Ammo­nio, indica l’intenzione che rende un dono o un pensiero graditi, nascen­do da una disposizione d’amicizia e generosità (c­fr. prohairesis philikês diathéseos). La filosofia morale ellenistica, spe­cialmente stoica, è ben presente anche nel Nuovo Testamento, ad esempio nelle Lettere Pastorali, grosso modo contempo­ranee a quella di Ammo­nio e rispondenti alle stes­se preoccupazioni che sembrano trasparire da quella di Ammonio (ade­rire alle convenzioni mo­rali del mondo greco-ro­mano per destare meno sospetti). L’espressione diathesis philiké trova un preciso parallelo in un pa­piro cristiano, pur tardo (P. Cairo Maspero III 6731), che ha philikè kai eirenikè diathesis, un’espressione che non appare mai nelle altre occorrenze di diathe­sis nei papiri. Ammonio rimprovera Apollonio di «opprimerlo» con conti­nui atti di generosità (in­dicati con philanthropiai, altro termine del lessico della philia) che egli non potrebbe ricambiare, un ossimoro che rivela anche la cultura retorica di Am­monio. Questa frase, che sembra escludere che l’e­pistolè kechiasméne fosse un contratto, mostra che Ammonio riteneva la reci­procità essenziale in un rapporto di philia. I paral­leli con testi cristiani di fi­ne I o di II secolo e la cor­rispondenza con la situa­zione storica dei Cristiani all’epoca sembrano con­fermare la datazione pa­leografica, eventualmente estendendola fin sotto Marco Aurelio, e la suppo­sizione che Ammonio e A­pollonio potessero essere cristiani. Avremmo qui u­na delle primissime atte­stazioni di nomina sacra; un parallelo interessante è su un frammento di pelle scoperto recentemente in una cava a Wadi Murab­bat, di fine I – inizi II seco­lo, contenente forse la pri­ma attestazione del monogramma di Cristo. Qui potrebbe essere il X sopra­lineato a rinviare a Cristo e alla sua croce (come cri­stogramma e/o stauro­gramma). La situazione ri­schiosa spiegherebbe be­ne il bisogno di usare una formula criptica, che non avrebbe insospettito i non-cristiani. Precisa­mente in Egitto nella pri­ma metà del II secolo, fu scritto il Papiro Rylands 457, contenente passi del vangelo di Giovanni. Nel luogo e nel periodo in ci scriveva Ammonio, il van­gelo giovanneo era copia­to e letto nelle comunità cristiane, tra cui potevano esserci anche quelle di Ammonio e Apollonio.
«Avvenire» del 27 luglio 2010

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