31 luglio 2010

Selfmade women, più ricche ma che fatica

di Monica D'Ascenzo
Tutte insieme valgono circa 400 volte il patrimonio dell'uomo più ricco del mondo. Eppure è ancora poco. Le donne facoltose sono in crescita e al mondo rappresentano il 27% della ricchezza investita per un ammontare di oltre 20 mila miliardi di dollari. Ma le stime di Boston Consulting Group indicano un continuo incremento da qui al 2014 quantificabile in un tasso dell'8% all'anno. Il doppio della crescita prevista a livello globale.
In soldoni se oggi un ricco su tre è donna, la percentuale è destinata ad aumentare nel giro di pochi anni e qualche segnale in questo senso era già venuto dalle ricerche che evidenziavano come il 22% delle donne negli Stati Uniti e il 19% in Gran Bretagna guadagna già più del compagno.
Questione di eredità improvvise e divorzi milionari? Tutt'altro. Il 42% delle donne ricche deve il proprio patrimonio alla propria professione, grazie a remunerazioni e bonus. Largo allora alle selfmade women, che hanno imparato a dare un valore al proprio lavoro e a non accontentarsi di scalare qualche gradino nella gerarchia aziendale. È ancora presto, comunque, per vederne qualcuna fare capolino nell'olimpo della classifica dei primi dieci miliardari stilata da Forbes, anche se il cambiamento non è molto di là da venire.
Ma siamo sicuri che questo basti per salutare una nuova era di equilibrio, anche patrimoniale, tra i sessi? Certo nel Nord America le donne contano per il 33% dei ricchi e gestiscono 9mila miliardi di dollari. In Europa Occidentale sono il 26% per un ammontare di circa 5,3 mila miliardi di dollari, mentre le differenze sono molto più marcate nelle aree geografiche meno sviluppate. Resta il fatto, però, che al mondo il 70% delle ricchezza viene prodotta dalle donne, che rappresentano ancora i due terzi dei poveri. Ci sarebbe, quindi, da augurarsi che quelle che raggiungono la vetta, finanziaria o professionale, poi sappiano fare la differenza perché il gender gap non si debba più misurare né in termini di miliardi né in termini di disparità.
«Il Sole 24 Ore» del 31 luglio 2010

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