26 luglio 2010

Un segreto è segreto

E quello di stato non può essere sacrificato all’utopia della trasparenza totale
s. i. a.
Si discute molto, a proposito e a sproposito, dei “segreti” che ammorberebbero la vita della Repubblica. Si potrebbe obiettare che, caso mai, sono le propalazioni giudiziarie di illazioni e mezze verità non controllate a suscitare tensione. Al di là delle considerazioni relative alle vicende più recenti, bisognerebbe esaminare oggettivamente il tema dell’esigenza che tutti gli stati hanno di mantenere il segreto su questioni e vicende particolarmente delicate. Lo stato di diritto delimita, ma non abolisce, la ragion di stato, della quale il segreto è una conseguenza. E’ ragionevole porsi il problema del senso specifico che conserva (o meno) la ragion di stato in un regime democratico.
Com’è noto il segreto di stato è stato opposto in varie occasioni, e talora sugli stessi argomenti, sia da governi di centrodestra sia di centrosinistra. E’ naturale che le opposizioni pretendano sempre la “trasparenza”, ma se poi si trovano a governare, le parti si invertono sistematicamente. Questo significa che ci sono legittimi interessi nazionali che richiedono di essere tutelati anche col segreto, e sarebbe bene che senza ipocrisie o strumentalità questo fosse riconosciuto da tutte le parti politiche responsabili. D’altra parte il caso più celebre di pubblicazione dei segreti di stato vide come protagonista il Consiglio dei commissari del popolo sovietico, che però, dopo aver rivelato i segreti della diplomazia zarista, costruì il sistema più rigidamente segreto della storia contemporanea.
La conduzione delle guerre richiede il segreto, e questo vale sia per quelle esterne come per quelle interne. Combattere le bande armate terroristiche o la criminalità organizzata richiede strategie, che debbono avvalersi di strumenti di intelligence, che possono agire, spesso ai margini della legalità, solo se coperti dal segreto. Naturalmente si rispetta, almeno in linea di principio, la ragion di stato se si riconosce il ruolo unitario dello stato come tutela fondamentale dell’interesse nazionale. Se si introduce il dubbio, si affaccia la tesi del “doppio stato”, si abbatte la base stessa su cui si fonda il sistema. La democrazia, che è una forma di stato, viene proposta come antagonista allo stato, cui non viene riconosciuto il carattere democratico in base al principio della sovranità popolare. L’utopia di uno stato senza segreti, apparentemente affascinante, in realtà finisce col minare proprio le fondamenta dello stato, e quindi, da noi, della democrazia.
«Il Foglio» del 23 luglio 2010

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