30 agosto 2010

Barabba a piazza San Pietro

di Giuseppe Conte
Nel carcere, aveva parlato con il vecchio dalla barba bianca e dagli occhi luminosi. Le parole di lui infondevano coraggio e speranza a tutti, in quella prigione orribile dove erano chiusi in attesa della crocifissione. Anche a lui, forse.
Ma subito dopo, appena la voce del vecchio taceva, in lui si riaccendeva la più cupa disperazione. Loro erano cristiani, avevano fede nel Regno dei Cieli, sapevano che la morte è soltanto un passaggio. Lui era Barabba. Il Liberato. Il bandito. Lo sfregiato. Ancora ora, passandosi nei momenti di tensione la mano sul volto, sentiva il ruvido della cicatrice che andava dall’estremità dell’occhio a quella del labbro. Era una ferita da coltello, che gli aveva inferto suo padre. Barabba aveva conosciuto l’inferno su questa terra. Violenza, prigionia, schiavitù. Aveva cercato di diventare cristiano anche lui. Di amare anche lui chi era stato messo a morte al suo posto, il mite predicatore che aveva chiamato a sé i poveri della Galilea, che aveva miracolato gli infermi, sollevato gli infelici. Il Figlio di Dio, lo chiamavano ora. Ma Barabba, con la sua vita alle spalle, con la sua cicatrice indelebile sul volto, aveva poca dimestichezza con l’amore. L’odio era stato il suo forte. L’odio, che dell’amore è il compagno feroce e distruttivo. Quando aveva sentito quella voce: «i cristiani, i cristiani bruciano Roma», una voce falsa, di un provocatore, di un servo del potere imperiale, che già preparava l’accusa per perseguitare i seguaci di Cristo, Barabba ci aveva creduto. Aveva preso un tizzone ardente, si era messo a incendiare tutto quello che trovava sul suo passaggio. Lo esaltava quello spettacolo: fiamme sempre più alte che avvolgevano e sbriciolavano colonne, palazzi, magazzini, templi. Lo esaltavano l’oscurità rossastra, le nuvole di fumo soffocanti, i pianti disperati, i cadaveri riarsi. Era stato arrestato mentre sghignazzava con una fiaccola accesa ancora in mano. Aveva fornito involontariamente il pretesto all’imperatore e ai suoi uomini per accusare i cristiani. Per questo ora in carcere solo il vecchio dalla barba bianca, il capo, il più saggio e umano, gli aveva rivolto la parola.
Gli altri ne stavano alla larga. Quando furono portati fuori per essere crocifissi, i prigionieri vennero incatenati due per volta. Essendo il loro numero dispari, Barabba, isolato come un lebbroso, rimase in catene da solo. Sulle prime borbottò qualche parola di rammarico. Andava verso la morte solo, come era sempre vissuto. Poi subentrò un altro sentimento. Un senso di ribellione, un terrore che sviluppava energia nella sua mente e nel suo corpo.
Non era legato a nessuno. Nessuno gli sarebbe stato di freno se avesse provato a fuggire. Aspettò, doveva saper cogliere il momento giusto. La via cominciava a riempirsi di croci. Per primo, fu appeso il vecchio dalla barba bianca e dallo sguardo luminoso. Per colmo di crudeltà, fu appeso con la testa all’ingiù. Barabba non poté sopportare quella vista. Era troppo. Alla pietà per il vecchio subentrò il suo antico odio per i romani , quello che aveva condiviso con i ribelli Zeloti in Palestina.
Avrebbe dovuto bruciarli tutti, con la loro metropoli piena di fasto e di fogne. Ora anche altri prigionieri erano sulle croci. Si sentivano dappertutto pianti, lamenti, preghiere, urli di dolore. Dappertutto scorreva il sangue, e i soldati, quelle belve, sembravano ipnotizzati dal suo colore e dal suo odore dolciastro. Quello era il momento. Lui era solo. Lui aveva gambe ancora forti. Approfittò di un attimo, saltò tra la folla, si confuse in essa, poi prese verso il centro della città, là dove sorgevano le insulae più alte e le vie piene di botteghe e taverne erano sempre affollate. Barabba sapeva dove andare. Dove un fabbro amico dei ladri gli avrebbe tolto le catene dai piedi, dove un oste complice gli avrebbe dato un sorso di vino, e una donna di malaffare un momento di piacere. Quello era il suo mondo. Era tornato un bandito.
Passò così qualche tempo. Vivendo nel caos concitato della città si sentiva protetto.
Nessuno lo riconosceva, i soldati non avrebbero messo più impegno nel cercarlo.
Era Barabba e nessuno. Ma quel vecchio che era stato crocifisso a testa in giù, quella lunghissima fila di croci sulla via, lo tormentavano e gli tornavano continuamente negli occhi. E nel cuore. Lui era scampato. Lui aveva voluto vivere. Che è il sentimento più elementare e dirompente in un uomo. Ma volendo vivere, aveva rinnegato la speranza del Cielo. Ora i suoi compagni del carcere erano lassù, oltre le nuvole, oltre le piogge e le tempeste di vento. Lui era rimasto in preda del suo solito inferno. Non poteva allontanarsi dall’odiata Roma, tornare a Gerusalemme, a rivedere la sua terra. Non poteva uscire da quelle strade trafficate, dall’ombra di quelle taverne e di quelle botteghe equivoche che lo nascondevano e tenevano al sicuro. Il pensiero di avere perduto il Cielo ora lo opprimeva. La fuga, che l’istinto gli aveva dettato, ora gli appariva come un sinistro, terribile errore. Quante volte si rivolse al vecchio dalla barba bianca e dagli occhi luminosi, gli parlò sottovoce, gli chiese perdono, come se lo avesse tradito. In realtà, Barabba aveva soltanto tradito se stesso. Aveva voluto vivere. Come se la vita in sé fosse un bene. E ora doveva sopportarne le conseguenze. In quella esistenza braccata, nel caos, nelle viscere verminose di quella città nemica. Gli anni passavano senza che niente per Barabba cambiasse più. Ne passarono tanti, tutti i suoi compagni, il fabbro, l’oste, la donna di malaffare, erano morti. Lui non moriva.
Non invecchiava neppure. Era rimasto l’uomo maturo, forte, che si era lasciato la colonna dei prigionieri e il manipolo dei soldati alle spalle, per tuffarsi nel centro tentacolare e oscuro della città. Man mano, capì la sua condanna. Aveva voluto la vita, l’avrebbe avuta per sempre. Eterna, ma sulla terra. Era una condanna che non aveva immaginato, e che accettò senza eccessiva pena. Man mano, dimenticò e fece dimenticare tutto, anche il suo nome.
Ma non dimenticò mai il vecchio dalla barba bianca e dagli occhi luminosi crocifisso a testa in giù. Al suo ricordo, rimase fedele. Passarono i secoli, Roma cambiò governo e forme. Ma nel centro della città rimaneva sempre un angolo, una via, un porticato oscuro dove l’uomo che era stato Barabba continuava a trovare rifugio. Dicono che oggi si possa vedere tra i mendicanti che bivaccano sotto i portici, davanti alla maestà di Piazza San Pietro.
«Solo dopo la fuga capì che era stato un errore. La sua condanna era la vita, eterna ma sulla terra. E rimpianse anche le parole di quel vecchio crocifisso a Roma»
«Avvenire» del 24 agosto 2010

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