05 ottobre 2010

Nobel alla provetta: vince l’ideologia

Assegnato il premio per la medicina all’inglese Robert Edwards, padre della fecondazione in vitro. Carrasco: «Scelta discutibile»
di Andrea Galli
La storia della feconda­zione in vitro ha inizio con una lettera pub­blicata sulla rivista scienti­fica The Lancet nell’agosto 1978, firmata da Robert Edwards e Patrick Steptoe. Dove i due ricercatori bri­tannici annunciavano la nascita di Louise Brown, primo essere umano con­cepito in «provetta da un ovocita aspirato in laparo­scopia il 1° novembre 1977, in un ciclo ovulatorio spontaneo, in una donna sterile per occlusione bila­terale delle tube». Per quel passo, che inaugurava an­che l’irruzione della tecno­scienza nel cuore della ge­nerazione umana, a Edwards è stato assegnato il Nobel per la medicina (il collega Steptoe è morto nel 1988), come annunciato ieri dall’Assemblea del No­bel del Karolinska Institu­tet di Stoccolma. Una pre­miazione a scoppio ritar­dato, per quanto non la prima, se si tiene presente che Alfred Nobel aveva pensato l’omonimo rico­noscimento come un so­stegno ai responsabili di significativi avanzamenti della scienza e della cultu­ra, perché potessero conti­nuare il proprio lavoro senza assilli economici, non come semplice alloro a fine carriera. E quello che Edwards poteva dare alla scienza lo ha certamente già dato, essendo 85enne e in gravi condizioni di salu­te. Il tutto suona insomma come un messaggio ideo­logico all’opinione pubbli­ca, quasi una consacrazio­ne della provetta fin tanto che il suo padre scientifico è ancora in vita. Ma tant’è.
Nato a Manchester, laurea­tosi in agraria e specializ­zatosi in genetica animale, Edwards iniziò la carriera accademica nel 1955 a Cambridge. In quegli anni alcuni scienziati avevano dimostrato che cellule uo­vo di conigli potevano es­sere fecondate in provetta.
Il giovane genetista decise di studiare se metodi simili potevano essere usati an­che con gli esseri umani.
Con una serie di esperi­menti fece importanti sco­perte per quanto riguarda la fisiologia della riprodu­zione: come maturano gli ovuli, come differenti or­moni ne regolano il ciclo vitale e quando sono pronti per essere feconda­ti. Nel 1969 Edwards con­tattò il ginecologo Patrick Steptoe, pioniere della la­paroscopia, tecnica per ri­muovere gli ovuli dalle o­vaie. Insieme misero in coltura ovociti umani e, aggiungendovi seme ma­schile, ottennero un em­brione umano.
Nonostante i risultati pro­mettenti, il britannico Me­dical Research Council de­cise però di non finanziare il progetto, che andò avan­ti grazie a una donazione privata. Fino a quando, nel 1978, ai due ricercatori si rivolsero Lesley e John Brown, una coppia che da 9 anni tentava invano di a­vere un figlio. Partito coi conigli Edwards chiuse il cerchio e fece venire alla luce una bambina, dando il via a quella che oggi è di­ventata a tutti gli effetti u­na nuova branca della me­dicina, un business mon­diale di enormi proporzio­ni e uno dei principali ter­reni di conflitto della bioe­tica contemporanea.
«L’avanzamento del sapere può avvenire anche violan­do valori etici fondamen­tali – commenta a caldo la notizia del Nobel France­sco D’Agostino, ordinario di Filosofia del Diritto a Tor Vergata e già presidente del Comitato nazionale di bioetica – così come nel­l’investigazione di un delit­to si può ottenere una con­fessione attraverso la tor­tura. Otteniamo la verità, certo, ma a che prezzo? Il problema è qui: per alcuni la violazione delle norme morali è giustificata dal va­lore che si ottiene, per altri no». Continua D’Agostino: «Qui non si tratta di discu­tere l’abilità di Edwards, la motivazione strettamente tecnica del premio non è sindacabile, ma quello che dovrebbe essere sindacabi­le è che non ogni esito può essere avallato indipen­dentemente dal metodo con cui è stato ottenuto. Si ripete spesso che un gran­de scrittore come Borges non ha mai avuto il Nobel perché troppo di destra: vero o no, di fatto l’accade­mia svedese ha sempre te­nuto presente il retroterra delle personalità da pre­miare e le loro, diciamo così, metodologie.
Non è stato così, evidentemente, nel caso di Edwards, dove il Nobel avalla una medicina priva di sensibilità eti­ca. Viene poi da pensare alla considerazione data, nell’ambi­to della medicina, alla fe­condazione in vitro rispet­to ad altri campi: non mi risulta, per esempio, che a Christiaan Barnard, autore del primo e rivoluzionario trapianto di cuore, abbia­no mai dato il Nobel».
Perplessità sono state e­spresse anche da esponen­ti vaticani. «Personalmente avrei votato altri candidati come McCullock e Till, scopritori delle cellule sta­minali, oppure Yamanaka, il primo a creare una cellu­la pluripotente indotta (i­PS)» ha commentato mon­signor Ignacio Carrasco de Paula, presidente della Pontificia Accademia per la Vita. Sullo scienziato bri­tannico – «non un perso­naggio che si possa sotto­valutare » – gravano re­sponsabilità oggettive: «Senza Edwards non ci sa­rebbe il mercato di ovociti; senza Edwards non ci sa­rebbero congelatori pieni di embrioni in attesa di es­sere trasferiti in utero o, più probabilmente, di es­sere usati per la ricerca op­pure di morire abbando­nati e dimenticati da tutti». Un bilancio che per il pre­sule si può sintetizzare co­sì: «Edwards inaugurò una casa, ma aprì la porta sba­gliata dal momento che puntò tutto sulla feconda­zione in vitro e consentì implicitamente il ricorso a donazioni e a compra-ven­dite che coinvolgono esse­ri umani. Così non ha mo­dificato minimamente né il quadro patologico né il quadro epidemiologico dell’infertilità. La soluzio­ne a questo grave proble­ma verrà da un’altra strada meno costosa e ormai in a­vanzato corso di costruzio­ne».
Il presidente della Pontificia accademia per la vita: «Sua la responsabilità dell’attuale caos procreativo». D’Agostino: «Così si avalla una medicina senza etica»
«Avvenire» del 5 ottobre 2010

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