11 ottobre 2010

Padre Men, quel martirio riguarda tutti

di Jean-Claude Guillebaud
Il 9 settembre 1990, nei pressi del monastero della Trinità di San Sergio a Zagorsk (oggi chiamata Sergej Posad), il più importante centro spirituale della vecchia Russia, un prete ortodosso, padre Alessandro Men, viene assassinato con un colpo d’ascia. Vent’anni dopo nessuno mette in dubbio il significato storico di quel martirio. Può sorprendere che il ventesimo anniversario sia stato così poco ricordato sulla stampa. Il martirio di Alessandro Men supera le frontiere della Russia e coinvolge il mondo cristiano in generale, come l’assassinio di padre Jerzy Popieluszko, nell’ottobre del 1984 in Polonia, o quello dei sette monaci trappisti di Tibhirine, nel 1996 in Algeria.
Nel 1990, tra le riforme introdotte da Gorbaciov, ce n’è una che esaspera i vecchi bolscevichi: la nuova libertà di credo concessa ai russi. Nel 1988 l’Urss ha rotto di fatto con settant’anni di ateismo obbligatorio e di persecuzioni. Ne seguirà un’enorme trasformazione.
Migliaia di chiese sconsacrate dagli anni Venti vengono pian piano restaurate e consacrate.
Decine di migliaia di uomini e donne scelgono di farsi battezzare. Diverse centinaia di monasteri vengono ricostruiti o costruiti. Se ne conteranno presto 450, mentre ne restavano meno di dieci nel 1988.
Padre Alessandro Men, tra il 1988 e il 1990, ha svolto un ruolo innegabile in questa stupefacente nuova cristianizzazione della Russia.
Per la vecchia guardia comunista questo cristiano erudito, aperto alle conoscenze scientifiche del suo tempo, dotato di un eccezionale talento per la predicazione era un uomo pericoloso. Fino ad allora era tenuto d’occhio. Era anche regolarmente calunniato, minacciato, convocato dal Kgb.
Chi l’ha ucciso? Alcuni danno per scontato che l’assassinio derivi – anche e forse soprattutto – dall’antisemitismo. Sacerdote ortodosso, nato il 22 gennaio 1935 a Mosca, Alessandro Men veniva da una famiglia ebrea e non aveva mai voluto rompere il legame con le radici ebraiche. La madre Elena e la cugina di lei Vera Vassilievskaia si erano convertite al cristianesimo negli anni Trenta, proprio mentre trionfava l’ateismo di Stato. Tuttavia Men non smetterà mai di considerarsi un 'ebreo cristiano'. Ma altri sospetti si dirigono sugli stessi tradizionalisti ortodossi, ostili all’apertura.
L’8 settembre, alla vigilia della morte, Alessandro Men confusamente sapeva di avere le ore contate. Si era confidato con alcuni visitatori, tra i quali Jean-Marie Lustiger. Nell’ultima conferenza, tenuta alla Casa della tecnica a Mosca, quel giorno espresse la speranza ostinata che era in lui: «La storia del cristianesimo è solo cominciata».
(traduzione di Anna Maria Brogi)
«Avvenire» del 10 ottobre 2010

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