08 ottobre 2010

Vargas Llosa, un liberale contro tutti i regimi

Stoccolma assegna il premio per la letteratura allo scrittore nato in Perù e ora residente a Londra. In prima linea per difendere i diritti umani
di Fulvio Panzeri
Non ci credeva, quan­do ha ricevuto la te­lefonata da Stoccol­ma che gli comunicava che la scelta del nuovo Premio Nobel per la letteratura era caduta su di lui. A New York, dove stava preparando una conferenza, una delle tante che da anni tiene in tutto il mondo, Mario Vargas Llosa, ha detto: «È stata una sorpre­sa enorme. Non mi ricordavo che in questi giorni si asse­gnava il premio. Ho addirit­tura pensato fosse uno scherzo di cattivo gusto co­me quello che fecero ad Al­berto Moravia». Invece lo scrittore peruviano ce l’ha fatta, dopo che per molti an­ni il suo nome è circolato tra i favoriti dagli Accademici di Svezia, che quest’anno han­no puntato su di lui, come si legge nella motivazione, «per la sua cartografia delle strut­ture del potere e per le acute immagini della resistenza, la rivolta e la sconfitta dell’individuo ». Del resto le strutture 'nuove', che non ripetono lo stereotipo di quel 'realismo magico' che da sempre ha caratterizzato l’idea della let­teratura sudamericana, adot­tate da Vargas Llosa e la sua anima da 'liberale' integrale che lo porta a battersi per i diritti civili fanno della sua fi­gura una delle più complesse e originali di questa lettera­tura. Gli ultimi, e unici, lati­no-americani a essere insi­gniti del Nobel erano stati fi­nora la cilena Gabriela Mi­stral (1945), Gabriel Garcia Marquez (1982) e Octavio Paz (1990). I rapporti tra Marquez e Llosa furono buo­ni per anni, tanto che Llosa scrisse un saggio su Marquez e collaborano alle stesse rivi­ste, fra cui «Libre». Nel 1971 invece si consuma un’epica rottura, a suon di schiaffi e pugni. Di fronte a un 'pro­cesso-farsa' a un poeta cu­bano, i redattori della rivista «Libre» mandano a Castro un telegramma di protesta, Mar­quez non firma e, dopo furi­bonda discussione, ecco il li­tigio e il distacco da Vargas L­losa.
Da questo punto di vista lo scrittore peruviano è sempre stato coe­rente nella critica al­le dittature e ai po­teri forti dell’Ameri­ca Latina, di qua­lunque colore ideo­logico fossero, al punto che ancora recentemente in un’intervista lamen­tava un certo 'ostracismo' verso i suoi libri dedicati a queste tematiche. E in parti­colare in Italia. Sostiene Llo­sa: «In Italia non piaccio per­ché sono un uccello tropica­le. Secondo gli italiani gli scrittori sudamericani devo­no essere amici dei dittatori in odore di socialismo, come Castro o Chàvez».
Fra gli scrittori che hanno ri­flettuto sulla complessa rela­zione tra politica e letteratu­ra, la posizione di Mario Var­gas Llosa è particolarmente interessante, in quanto il grande narratore peruviano non solo ha indagato questa relazione nel corso della sua ormai vasta opera, ma ha vo­luto cimentarsi anche in prima persona con l’impegno politico, candidandosi alcuni anni fa alla presidenza del suo Paese. Sconfitto, nel 1990, è diventato cittadino spagnolo e da vent’anni vive a Londra. Il suo essere 'liberale' si esprime nella consa­pevolezza che «nel progresso della libertà risiede l’umaniz­zazione della vita e delle rela­zioni sociali. L’errore fatale della mia generazione di scrittori è stato quello di giustificare le autocrazie, le dit­tature e di accettare la visio­ne rivoluzionaria marxista come panacea di tutti i ma­li». Nato a Arequipa, in Perù, nel 1936, si forma a Parigi negli anni Cinquanta, seguendo la radicalità di Sartre e finendo per abbracciare il riformismo di Camus. È una formazione che riguarda anche una innovazione dal punto di vista letterario, che lo porta a soluzioni diverse da quelle del 'realismo magico', anche perché i suoi autori di riferimento sono Conrad, Faulkner, Tolstoj, Flaubert. Il libro che lo fa conoscere a livello internazionale, ottenendo un grande successo, nel 1963, è La città e i cani, che prende spunto da un’esperienza giovanile dell’autore, nel Collegio Leoncio Prado di Lima dove avviene l’educazione del protagonista-alter ego dell’autore. Si tratta di un collegio retto da militari secondo una disciplina rigida, sorretta dalla sopraffazione, dalla forza bruta, dal dispotismo.
Mentre l’Europa lo acclama, in Perù, nel suo paese il romanzo viene bruciato in piazza, perché considerato dissacrante. Il romanzo successivo, La casa verde (1965), tradotto in venti lingue, conferma l’interesse del pubblico e della critica, che accompagneranno poi la sua vasta produzione narrativa e saggistica (Vargas Llosa si è definito «uno schiavo volontario e felice della letteratura»). Llosa in Italia è pubblicato principalmente da Einaudi, che a novembre manderà in libreria Il sogno di Celta , una storia che si ispira a un personaggio storico, Roger David Casement, diplomatico britannico e patriota irlandese, amico di Joseph Conrad, impegnato contro le atrocità commesse verso gli indigeni nel Congo e lo sfruttamento del caucciù in Africa e America del Sud. Una produzione così vasta presenta anche qualche cedimento e qualche ripetitività tematica (certe insistenze su atmosfere fin troppo sensuali), soprattutto nelle ultime opere, che non sempre riescono ad eguagliare la tensione dei romanzi d’esordio. Scheiwiller Libri invece in questi ultimi anni stanno pubblicando i suoi scritti saggistici meno conosciuti, una possibilità in più per approfondire un’esperienza letteraria complessa, controcorrente rispetto agli stereotipi, sempre puntata alla ricerca della libertà e del suo valore.
«Avvenire» dell'8 ottobre 2010

Nessun commento: