19 dicembre 2010

Calligrafia. In punta di pennino

Nella nostra superbia tecnologica siamo convinti che sia una cosa arretrata, un’attività salottiera Invece (l’ha ormai dimostrato la scienza) scrivere a mano facilita l’apprendimento e aiuta a pensare meglio. Per questo l’arte della bella grafia vuole tornare nelle scuole italiane
di Riccardo Maccioni
Un ultimo tocco di pennino, una scrollatina alla pergamena et voilà , la lettera era pronta per essere consegnata; con le sue eleganti «c» panciute, le «o» con il ciuffetto, e un merlettino a completare le «z». Quante volte, ammirati e insieme supponenti, abbiamo visto quella scena nei film in costume. Convinti, nella nostra superbia tecnologica, che la calligrafia fosse allora una necessità da arretratezza, e oggi un passatempo salottiero da condividere all’ora del tè. Non era e non è così. Scrivere a mano facilita l’apprendimento, allena la volontà, sollecita l’immaginazione. In una parola «fa pensare meglio». Lo dicono i cultori della materia, lo sottolinea la scienza. L’ultima conferma, in un elenco che va allungandosi, arriva dall’Università statunitense dell’Indiana dove studi realizzati con la risonanza magnetica nucleare hanno dimostrato che i bambini abituati a scrivere a mano rivelano una maggiore attività nell’area cerebrale predisposta all’apprendimento. Analogamente, secondo una ricerca dell’Università di Washington i cui primi risultati risalgono al 1998, nei temi manifestano una maggiore originalità e creatività rispetto ai coetanei maniaci del computer. Di più: se lo scrivere a mano viene insegnato contemporaneamente al processo della composizione, ne traggono beneficio entrambi. Ma ce n’è anche per gli adulti, la cui capacità cognitiva ha giovamento dall’imparare alfabeti nuovi, come l’ebraico o il cirillico.
«Scrivere a mano ci permette di interiorizzare meglio la lingua – spiega Anna Ronchi presidente onorario dell’ Associazione calligrafica italiana, che ha sede a Milano –. Purtroppo nel nostro Paese l’insegnamento della bella scrittura è stato dimenticato. Il risultato è che ci sono tantissimi bambini e ragazzi dalla grafia illeggibile con inevitabili difficoltà per gli insegnanti e danni nel rendimento scolastico».
Spesso ne derivano deficit, blocchi sia formativi che psicologici. «Sono in aumento i casi di disgrafia e dislessia – aggiunge Ronchi –.
Trascurando l’atto della scrittura, sorgono problemi di lettura. E di apprendimento della lingua». Rilevazioni che contrastano con chi crede che gli esercizi di calligrafia vadano confinati nel libro Cuore e la penna sia utile soltanto per appuntarsi l’elenco della spesa.
Salvo poi telefonare alla moglie, per sapere se davvero c’è bisogno di latte. «Ho dimenticato a casa il biglietto» – la pietosa bugia detta mentre si cerca di interpretare quello che abbiamo scritto. Malgrado e-mail, sms e notebook, insomma c’è ancora bisogno di stilografica e biro. «Negli anni della formazione scolastica non si possono sostituire le tecniche moderne alla capacità del bambino di scrivere, che è a sua volta strumento di apprendimento e comporta l’acquisizione di abilità che vanno sviluppate – sottolinea la presidente Ronchi –. Le nuove tecnologie non possono diventare la fonte dell’istruzione scolastica. Possono, anzi devono essere utilizzate in un secondo momento. Insieme alla scrittura a mano, non per sostituirla». Il popolo «digitale», buona parte di esso almeno, denuncia però il rischio che gli esercizi di bello stile finiscano per creare un scrittura standardizzata, poco personale. «È il contrario.
Scrivere a mano fa emergere la personalità.
Ciascuno di noi adulti – continua Ronchi – ha una grafia diversa dagli altri. E non potrebbe essere altrimenti. La scrittura si compone infatti di un aspetto grafico, di un aspetto psicologico e di un aspetto linguistico. Anche se il modello è stato uguale, inevitabilmente con il tempo ognuno prende delle strade diverse, adotta dei metodi differenti. Dipende anche dalle condizioni in cui scriviamo, se di fretta o con maggiore cura. Tutti elementi che vanno ad influire sul nostro modo di scrivere e lo personalizzano». Agli amanti della calligrafia piacerà sapere che tanti scrittori moderni preparano a mano la «traccia» dei loro romanzi e che la penna resiste nelle stanze dei bottoni.
Nota, in questo senso la passione di Tony Blair.
L’ex premier britannico, che pure si vanta di aver dotato di computer tutte le scuole del Regno Unito, preferisce scrivere a mano i suoi discorsi e ama regalare stilografiche. Ai tempi di Downing Street donò una Churchill con pennino in oro a George Bush mentre un’altra fu inviata a Parigi per i 70 anni di Jaques Chirac. Più banalmente, istituti privati britannici hanno reso obbligatorio l’uso della stilo al posto della biro e in Francia si è riscoperta l’importanza del dettato. «In Italia anche grazie alla nostra associazione si è risvegliato l’interesse per la calligrafia – aggiunge Anna Ronchi –. Nel 2011 compiamo vent’anni e dopo tanto lavoro fatto soprattutto sull’arte della bella scrittura, oggi vorremmo offrire le nostre competenze per aiutare l’apprendimento dei bambini. In particolare con l’iniziativa 'La calligrafia ritorna a scuola' puntiamo a formare persone capaci di organizzare laboratori scolastici o tenere dei piccoli corsi di aggiornamento per insegnanti».
Nessuna voglia di far tornare indietro le lancette della storia però, nessuna bocciatura di tastiere e telefonini. Solo la consapevolezza che la forma delle lettere non può essere separata dai contenuti e che insieme formano un tutt’uno con la personalità dell’autore. Per dirla con Nabokov «quel che si scrive con fatica, si legge con facilità», e forse davvero, aiuta a pensare meglio. A capire e dire chi siamo.

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L’INCHIOSTRO? UN TERMOMETRO DEL BENESSERE INTERIORE
La scrittura dice molto di noi. Fatti i dovuti distinguo, è una specie di carta di identità. Una grafia chiara, fluida, frutto di movimenti armonici, sciolti, è quasi sempre sinonimo di equilibrio, di serenità. Viceversa, una scrittura disordinata, confusa, può indicare uno stato d’ansia, la presenza di disagi interiori. «Già il criminologo francese Alfonse Bertillon alla fine dell’800 aveva ipotizzato che attraverso la scrittura si potessero migliorare alcuni aspetti della personalità – sottolinea Oscar Venturini, direttore dell’Istituto italiano di grafologia fondato a Trieste nel 1975 –. Personalmente è dagli anni ’50 che mi occupo di questi problemi, soprattutto di disgrafie nei bambini». L’obiettivo è rendere sciolti, fluidi, i movimenti in soggetti che per tensione o anche per problemi neurologici non riescono ad avere la serenità necessaria per scrivere in modo armonico. «Noi parliamo di rieducazione della scrittura, comunque si tratta di vera e propria grafoterapia – aggiunge Venturini –. I nostri interventi possono essere efficaci là dove ci sono problemi che derivano da situazioni difficili, per esempio nel caso dei bambini timidi, magari vittime di brutte esperienze o che hanno ricevuto un’educazione carente per cui sono sempre tesi, timorosi». Come in un ideale termometro dello spirito infatti, chi scrive, insieme all’inchiostro, incide sulla carta anche il proprio universo interiore. Per recuperare una condizione di serenità perduta, oltre che sul piano psicologico occorre intervenire sull’assetto fisico, meccanico, posturale, perché migliorare il rapporto con il proprio corpo è utile anche per riequilibrare il quadro psichico. «Non miriamo alla calligrafia – continua Venturini – ma a una scrittura chiara, leggibile, che sappia comunicare, soprattutto svolta attraverso movimenti sciolti, fluidi. Perché questi dipendono dalla serenità o comunque da una certa tranquillità d’animo». Non è affatto vero allora che le menti più lucide siano quelle che «buttano giù» geroglifici incomprensibili. Semmai vale il contrario: una grafia ben leggibile rivela anche chiarezza di pensiero. Ecco allora l’importanza di educare i bambini, ma non solo, all’armonia e alla fluidità dei tratti. È utilissima in questo senso la prescrittura – osserva Venturini –. Si tratta di esercizi che non prevedono né disegni né parole ma semplici segni, magari da scoprire giocando. «Nel nostro centro svolgiamo corsi per insegnanti di scuola materna ed elementare. Con una raccomandazione: che nelle scuole materne non si insegni mai la scrittura, perché i bambini sono troppo piccoli. Occorrono invece esercizi pre-calligrafici». Fin qui la grafologia al servizio della pedagogia, della rieducazione. Ma gli ambiti di questa disciplina sono ben più ampi, spaziano dai tribunali agli uffici di polizia giudiziaria, dagli ospedali all’analisi dei test attitudinali. «La grafologia – conclude Venturini – non è solo la ricostruzione del temperamento, ma anche lo studio della scrittura a scopo terapeutico o come elemento d’indagine attraverso le perizie. È importante perché studiando i segni grafici si conosce la personalità, le sue difficoltà. E si può cercare di sanarle».
«Avvenire» del 19 dicembre 2010

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