07 dicembre 2010

Quanto vale un non-uomo?

Squali, assassini e disperati d'Africa
di Marina Corradi
Uno squalo ha ucciso una bagnante nelle acque di Sharm el-Sheik. Sui giornali un re­soconto dettagliato, anche a tutta pagina, com­pleto di immagine dello squalo, e misure, peso, lunghezza dei denti nonché abitudini alimen­tari. Lo squalo predilige i cefalopodi, il barracuda e il tonno, veniamo edotti – per la completezza della informazione.
Già, l’informazione. A poche centinaia di chi­lometri da Sharm el-Sheik, nel Sinai 250 profu­ghi africani sono prigionieri da settimane di pre­doni. Che pretendono dai familiari un riscatto. E intanto, per far capire che non scherzano, ne hanno già uccisi sei. Gli altri aspettano in cate­ne il loro destino. Di quei 250 miserabili ha par­lato il Papa, all’Angelus di domenica. Ha pregato per loro. Ma alla sua voce non sembra aggiun­gersi quella specie di preghiera laica che è la mobilitazione mediatica. Non si vede salire nei titoli una battaglia paragonabile, per esempio, a quella per Sakineh. Eppure quegli uomini so­no 250, e in sei sono già morti. Eppure il Sinai non è lontano da quella spiaggia dove uno squa­lo assassino merita le prime pagine.
Uomini e no, viene da pensare. Al mondo esi­stono gli uomini: sono quelli che vanno in va­canza a Nama Bay, e che sono com­prensibilmente disturbati dalla pre­senza di uno squalo. Facilmente gli i­taliani benestanti, di Sharm el-Sheik affezionati frequentatori, si lasce­ranno coinvolgere dalla tragica fine di una turista straniera che nuotava se­rena, proprio come facevano loro l’anno scorso. Proprio come voglio­no fare a Natale: oddio, c’è uno squa­lo a Nama bay, ci si telefona fra ami­ci in partenza. E poi al mondo esistono i non uomi­ni, gli Untermenschen che scappano dalle guerre infinite di Etiopia, Eritrea e Somalia in carovane di camion, nel­la polvere. Finiscono in Libia, li im­prigionano, fuggono. Non tentano più di imbarcarsi: il Mediterraneo è sbar­rato, e quanti già, come loro, giaccio­no in fondo al mare, in un cimitero senza croci. Come in un labirinto cie­co, di respingimento in respingimen­to, tornano indietro, vendendo sé stes­si per pagare un passaggio, una mini­ma speranza di salvezza. Quei 250 vo­levano chiedere asilo in Israele. I pre­doni che ne fanno 'commercio' li ten­gono nel Sinai senza alcuna fatica: uo­mini stremati, allo sbando, disarma­ti. Quanto vale la vita di un morto di fame? Famiglie di immigrati in Sviz­zera, nel Nord Europa si sono sentite chiedere 8.000 dollari dai fratelli, dai figli prigionieri. In sei già ammazzati, il prossimo quando? A dare voce al dramma un prete e le solite Ong. Ma il dramma non trapassa la cortina di una distratta indifferenza sui giorna­li. Non fa scendere in piazza, non su­scita raccolte di firme di intellettuali.
Come mai, potremmo candidamen­te chiederci. Ma è semplice: la fac­cenda dello squalo a Sharm el-Sheik riguarda 'noi'. Quei turisti a Nama Bay po­tremmo essere noi, nelle vacanze di Natale. Leg­giamo dunque con allarmata immedesimazio­ne della tragica fine di una 'come noi'. Le 250 vite e storie di quei profughi braccati invece non ci coinvolge emotivamente: sono neri, senza u­na casa né un soldo, affamati e sporchi. In­comprensibili per noi le loro odissee. Profughi, da che cosa? Gli echi di guerra e sangue che fil­trano talvolta tra la cronaca di una festa ad Ar­core e l’ultima lite in Parlamento ci giungono co­sì confusi e lontani. E, magari, al Nord (e non so­lo) qualcuno sotto sotto pensa che quei 250 pri­gionieri sono 250 immigrati di meno a casa no­stra. Non c’è nemmeno, a coinvolgerci, la ten­sione di una battaglia contro una sentenza di morte. Quei là nel Sinai sono anche al di sotto dei requisiti minimi per avere dei diritti civili: profughi e dunque come non più cittadini di alcun Paese. Non uomini di una non patria. Fi­gli del niente. A chi interessano? Al Papa e al solito prete che se li è presi a cuore, e si sgola a richiamare l’at­tenzione. Ma il sasso cade nell’acqua inerte di uno stagno. Stiamo pensando ad altro, alla cri­si, alle elezioni forse, ai file di Wikileaks. Alle va­canze, i più fortunati. Di predoni, interessano solo quelli con le pinne, sul mare dove si affac­ciano i resort dove gli uomini 'come noi' van­no, a Natale.
«Avvenire» del 7 dicembre 2010

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