23 gennaio 2011

Il marxismo di Gramsci e la religione

di Augusto del Noce
Gramsci: marxismo per l'Occidente
Quale posto assegnare a Gramsci tra i teorici occidentali del comunismo? Un fatto è incontestabile: tra i teorici occidentali del comunismo, il solo Gramsci ha definito una linea politica capace di riuscire nei paesi occidentali. Poiché per il marxismo il filosofo, lo storico, il politico sono indistinguibili, poiché il criterio di verità è posto per il marxismo nella verifica storica, sembra legittimo concludere da ciò che si deve vedere nella posizione gramsciana anche lo sviluppo più rigoroso che il marxismo abbia raggiunto. Finora, il marxismo non è riuscito a vincere in Occidente e con ciò a universalizzarsi La possibile vittoria della ‘battaglia di Occidente’ diventa il possibile segno della sua universalità. In ogni caso è con il comunismo gramsciano che dobbiamo fare i conti.
Posto questo, dobbiamo domandarci: esiste per tale forma di marxismo una possibilità di conciliazione, non solo con il cattolicesimo, ma con qualsiasi posizione di pensiero che ammetta una realtà trascendente? O invece il gramscismo contiene la risposta decisiva, però negativa, a ogni possibilità di dialogo?
Decisiva perché la negazione della trascendenza religiosa appare in Gramsci non come una sovrastruttura accompagnante, in ragione di errori storici commessi da credenti, o di abitudini laicistiche di pensiero, una pratica che in sé sarebbe neutrale, così da essere quindi destinata, come sovrastruttura a cadere, ma come una condizione, per dir così, trascendentale, nei riguardi degli aspetti teorici e di quelli pratici del suo pensiero.

Gli errori del neomodernismo marxista
Penso che questo si debba dire anzitutto per il rispetto dovuto alla lealtà intellettuale di Gramsci; a essa, così come alla coerenza e al rigore a cui tutta la sua opera è impostata. Confesso che mi ripugnano nel più ripulsivo dei modi quei discorsi ­ oggi purtroppo correnti tra i cattolici - secondo cui il compito del filosofo e del teologo sarebbe quello di cristianizzare le varie filosofie che hanno avuto successo (stranamente assumendo il successo a criterio di valore!); ponendosi, si dice, nel loro riguardo in posizione critica e non polemica, assumendo la loro ragione piuttosto che combatterla. Si dice che l'ateo nega in realtà un'immagine deformata e idolatrica di Dio, che ognuno è ateo rispetto a qualche falsa immagine di Dio, eccetera. Questo discorso è certamente ineccepibile, ma ha il torto di dimenticare quanto vi è di più essenziale: che chi nega Dio non può non sostituirlo con un idolo, e che il processo idolatrico è elevazione a totalità di una parte della realtà (non è un caso che l'epoca dell'ateismo è anche quella del totalitarismo, perché il totalitarismo è appunto l'ateismo politico). Che cattolici che non hanno dedicato al lavoro intellettuale la loro professione possano cadere in inganno e venire tratti a simpatie per il comunismo, è comprensibile; non lo è che nel loro errore trovino. incoraggiamento da parte di coloro che, come gli intellettuali, avrebbero il compito di illuminare le coscienze. Il tema del 'tradimento dei chierici', titolo di una fortunata opera pubblicata giusto mezzo secolo fa, ritorna.
Per venire alla radice dell'errore, che è poi quello di credere possibile un 'inveramento' del marxismo nel cristianesimo, occorre osservare che quel che è valido per le filosofie precristiane non lo è per le postcristiane; non lo è per il processo di pensiero il cui risultato è l'ateismo, fenomeno postcristiano e legato all'idea stessa di postcristianesimo, come sia io che Cornelio Fabro abbiamo posto in luce nei nostri libri sull'ateismo. Certamente il patrimonio del pensiero cristiano si accresce, e quel che c'era di virtuale nelle tesi tradizionali si manifesta in quel momento in cui la critica dell'errore porta a far luce sulla sua genesi. Che sia esistito, in un passato abbastanza recente, un pensiero cattolico piuttosto acritico perché deformava le posizioni che intendeva combattere, è vero; che esista oggi un pensiero cattolico maggiormente acritico nel suo tentativo di benedire o battezzare le idee che non soltanto sono state presentate come avverse, ma lo sono, è ugualmente vero. Non è detto che la deformazione a sinistra ­ meglio sarebbe dire le deformazioni dirette a conciliarsi i nuovi potenti perché un filo rosso unisce oggi la borghesia progressista radicale, che è anche la borghesia più ricca, e il comunismo - siano più valide delle deformazioni a destra.
Consentitemi di riferirmi alle discussioni dell'anno 1945, o di quelli che immediatamente lo seguirono (1) e riconoscetemi almeno un merito: l'aver avvertito fin da allora la potenza filosofica del marxismo, in tempi in cui nella filosofia cattolica italiana l'esclusione del marxismo dalla storia della filosofia (la sua riduzione a semplice ideologia atta a muovere le masse) era un dogma tacitamente, o non troppo tacitamente accettato; con le conseguenze che oggi si vedono. Si sconta l'errore che allora si compiva a destra ripetendolo a sinistra, e in proporzioni tanto maggiori: da un po' di tempo i cattolici non fanno che leggere coloro che vengono detti i grandi demistificatori e in testa, naturalmente, Marx e i suoi commentatori. Siamo davanti, si potrebbe dire, celiando un po' ma non troppo, alla sostituzione dell'antica patrologia con una 'patrologia tedesca' (Feuerbach, Marx, Freud). Cristianesimo vero, o adeguato ai 'segni dei tempi' sarebbe quel che rimane dopo che è passato attraverso le critiche di questi nuovi maestri; ed è naturale non ne rimanga nulla; la teologia che constata 'la morte di Dio' è il legittimo risultato.

Per Gramsci, assoluta incompatibilità marxismo - religione
Ricordo l'impressione che provai quando lessi il primo libro filosofico di Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, non appena fu pubblicato nel gennaio 1948.Quella d'aver trovato la conferma definitiva alla mia tesi. Lo ripeto anche oggi, con consapevolezza maggiore. C'è una verità di Gramsci. Questa: senza odio anticattolico, senza odio anticlericale (da vero storicista egli non odia), Gramsci ha però messo in luce l'incompatibilità e inscindibilità assoluta di cristianesimo e di marxismo. Se è vero, cioè, che il gramscismo rappresenta la forma più rigorosa di quel che si suole dire marxismo 'critico' rispetto così al marxismo letterale come al materialismo dialettico o Diamat, è altrettanto vero che questo marxismo definisce il suo avversario primo nel cattolicesimo, ancor più che nella borghesia (2).

La filosofia diventa religione atea
Passando alla dimostrazione, cominciamo col vedere in che senso il pensiero di Gramsci, pur essendo assai lontano dalla lettera, possa e debba dirsi marxista. Riflettiamo perciò sul punto seguente: il tratto unico che specifica il marxismo nell'intera storia del pensiero sta nel suo presentarsi come il pensiero moderno, nell'aspetto in cui si definisce laico, cioè come oltrepassante definitivamente il pensiero trascendente, che diventa religione. Il processo del pensiero immanentistico moderno era stato sempre, nell'età moderna, processo della religione verso la filosofia; col marxismo la linea direttiva viene invertita, diventa processo della filosofia verso la religione (3). In che senso? In quello di una concezione della vita che unifica gli intellettuali e le masse. È in questo senso che si esprime Gramsci quando afferma che "la forza delle religioni e specialmente della Chiesa cattolica è consistita in ciò che esse sentono energicamente la necessità dell'unione dottrinale di tutta la massa religiosa, e lottano perché gli strati intellettualmente superiori non si stacchino da quelli inferiori" (4). O, se vogliamo usare un altro termine, quel che distingue il marxismo dalle altre posizioni filosofiche moderne è la sua critica rivolta all'idea della religione come momento assoluto della vita spirituale, o anche rappresentazione della verità in forma simbolica e mitica. In conseguenza di questa negazione la filosofia si fa religione pur non perdendo il suo carattere secolare; e qui si ritrova il senso autentico di un termine che troppo spesso è stato usato, così da diventare logoro, ma che pure, bene inteso, ha una piena verità, quello di 'religione secolare'.

L'immanentismo radicale di Gramsci
Ora, è esattamente su questo punto che Gramsci è marxista. Oserei dire che lo è soltanto su di esso, e naturalmente su quel che esso comporta; e che lo svolgimento di questo tema centrale del pensiero marxista lo porta a eliminarne necessariamente altri, così da far pensare alla sua opera come a una ‘riforma del marxismo' simmetrica alla 'riforma dell'hegelismo' crociana o gentiliana; e di fatto non è un caso che la ricerca di un 'immanentismo radicale dopo l'hegelismo', unisca Croce, Gentile e Gramsci a tal punto che in una futura storia della filosofia questi tre filosofi saranno probabilmente studiati in uno stesso capitolo. Il tratto unitario è infatti lo storicismo, e il rifiuto del materialismo visto nell'accezione naturalistica (Gramsci scrive che nel termine 'materialismo storico' occorre che l'accento sia fatto cadere sull'aggettivo e non sul sostantivo). Tutti e tre convengono che il materialismo è una posizione di pensiero metafisico-trascendente: è la risposta negativa al problema dell'esistenza di Dio data dopo che si sono accettati i termini realistici in cui il problema veniva posto. Il realismo, cioè, 'autorizza' la domanda sull'esistenza di Dio: per reprimerla il comunista dovrà ricorrere a risposte filosofiche criticamente insufficienti o a metodi coercitivi (o agli uni e agli altri).
In altre occasioni ho scritto che la problematica filosofica del cinquantennio tra il 1890 e il 1940 è dominata in Italia dal tema dei rapporti di religione e di filosofia. Nelle filosofie di Croce, di Gentile e di Martinetti, per riandare ai maggiori, abbiamo in correlazione al rifiuto del soprannaturale, una frattura tra gli attributi di Dio; per cui Gentile guarda al Dio creatore, Croce al Dio provvidente, Martinetti al Dio redentore.
«C.R.I.S. Documenti» del febbraio 1977

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