04 gennaio 2011

Il petrarchismo al femminile

Un fenomeno particolarmente interessante nel panorama letterario del XVI secolo è legato al fiorire di una ricca produzione petrarchista al femminile: a partire dagli anni Trenta, infatti, molte donne di diversa estrazione sociale si dedicarono alla poesia ed espressero in versi sentimenti e stati d’animo legati per lo più all’amore.
Nel 1538 fu pubblicata la prima edizione non autorizzata delle rime di Vittoria Colonna, alla quale seguì quella dei canzonieri di Tullia d’Aragona (1547), Isabella di Morra (1552), Veronica Gambara (1553), Gaspara Stampa (1554), Chiara Matraini (1555), Laura Battiferri (1560), Veronica Franco (1576). Nel 1559, inoltre, Lodovico Domenichi curò una raccolta di liriche dal titolo Rime diverse d’alcune nobilissime e virtuosissime donne, comprendente i testi di 53 poetesse. E la prima volta nella storia della poesia italiana che le donne si affermano come gruppo culturale omogeneo e acquistano una considerazione pari a quella dei loro colleghi.
Ad aprire la strada alla poesia petrarchista femminile fu Vittoria Colonna (1490-1547), figlia del connestabile di Napoli Fabrizio Colonna e moglie del marchese di Pescara Ferrante di Avalos. Il suo epistolario rivela una fitta rete di amicizie con i maggiori poeti e artisti del tempo, fra cui Michelangelo e Galeazzo di Tarsia, che in un sonetto la definì «palma leggiadra e viva». Il tema dominante delle sue Rime è legato all’amore per il marito e al dolore per la sua perdita, vissuto in termini di alta spiritualità. Nell’edizione del 1558 le sue rime sono suddivise "in vita" e "in morte" del marito, secondo il modello del canzoniere petrarchesco. Un ruolo centrale nella poetica di Vittoria Colonna è occupato, inoltre, dal profondo travaglio religioso, che la portò ad accostarsi temporaneamente alle idee riformistiche, per poi tornare all’ortodossia negli ultimi anni della sua vita.
Nobile e amica di poeti fu anche la poetessa lombarda Veronica Gambara (1485-1550), che, rimasta vedova a soli trentatré anni, si trovò a reggere le redini della piccola signoria di Correggio. Le sue Rime, dedicate in gran parte all’amore per il marito Giliberto, presentano un’impronta originale, soprattutto quando il discorso si innalza a una dolente meditazione sull’infelicità connaturata all’esistenza umana. Pubblicate postume nel 1553, le poesie di Veronica Gambara ottennero l’approvazione, fra gli altri, di Bembo, padre del petrarchismo cinquecentesco.
A differenza delle poetesse precedenti la padovana Gaspara Stampa (1523-1554) proviene da una famiglia di modeste condizioni. Rimasta orfana di padre quando era ancora molto giovane, si trasferì con la madre e i fratelli a Venezia, dove, grazie a un non comune talento letterario e musicale, divenne una figura di spicco della vita mondana e culturale della città. Il suo Canzoniere, pubblicato postumo nel 1554 dalla sorella Cassandra, comprende 311 componimenti, dedicati in gran parte al suo infelice amore per il conte Collatino di Collalto, dal quale fu abbandonata dopo una relazione di tre anni. I suoi versi si caratterizzano per l’estrema semplicità con cui viene trattata la materia sentimentale e per l’assenza di complicazioni intellettualistiche.
Fra le poetesse petrarchiste del Cinquecento compaiono infine numerose cortigiane, come erano definite nel XVI secolo le prostitute, spesso colte e di brillante conversazione, che frequentavano la corte pontificia. Fra queste bisogna ricordare Tullia d’Aragona (1510 ca.-1556), figlia naturale del potente cardinale romano Luigi d’Aragona, autrice di un trattato sull’amore platonico intitolato Dialogo sulla infinità d’amore, oltre che di un ricco canzoniere. Cortigiana fu anche la veneziana Veronica Franco (1546-1591), famosa per la sua bellezza e per le sue doti letterarie, che le valsero l’amicizia dei maggiori esponenti del mondo politico, culturale e artistico del tempo, fra cui Bernardo Tasso, Sperone Speroni, l’Aretino e il Tintoretto, autore di un suo ritratto. Buona parte del canzoniere di Veronica Franco è occupato da epistole in terza rima, che si distinguono nel panorama della poesia petrarchista per una nota realistica e sensuale. A un certo punto della sua esistenza Veronica decise di cambiare vita e fondò un ricovero per donne che, come lei, avessero deciso di lasciare la professione di cortigiana.

Vittoria Colonna, Oh che tranquillo mar, che placide onde
Questo e il sonetto che segue sono entrambi centrati sull'immagine del mare: mentre nei versi di Vittoria Colonna si tratta tuttavia di un'idea astratta, metafora della vita e del destino, per Isabella di Morra il mare è un luogo concreto, reale, dal quale la giovane poetessa attende trepida il ritorno del padre e la liberazione dall'oppressiva schiavitù che i fratelli le hanno imposto.

Oh che tranquillo mar, che placide onde
solcavo un tempo in ben spalmata barca!
Di bei presidi e d'util merce carca
l'aer sereno avea, l'aure seconde;
il ciel, ch'or suoi benigni lumi asconde,
dava luce di nubi e d'ombre scarca;
non de' creder alcun che sicur varca
mentre al principio il fin non corrisponde.
L'aversa stella mia, l'empia fortuna
scoverser poi l'irate inique fronti
dal cui furor cruda procella insorge;
venti, piogge, saette il ciel aduna,
mostri d'intorno a divorarmi pronti,
ma l'alma ancor sua tramontana scorge.

Metro: sonetto con schema ABBA ABBA CDE CDE.
2. spalmata: incatramata.
3. Di bei... carca: carica di buone difese e di utile merce.
4. seconde: favorevoli.
5. ch'or... asconde: le stelle («lumi»), che ora nascondono la loro luce benigna; le stelle sono dette benigne perché indicano la rotta ai naviganti.
6. scarca: priva.
7. non de'... varca: nessuno che naviga («varca») sicuro deve confidare nella sua buona sorte («creder»).
8. mentre... corrisponde: finché la fine della navigazione («il fin») non corrisponde al suo inizio, non si conclude cioè felicemente.
9. L'aversa stella mia: la mia sorte avversa.
10. scoverser: scoprirono.
11. cruda procella: crudele, violenta tempesta.
14. l'alma: l'anima. – tramontana: vento freddo, del nord, che porta tempesta.


Gaspare Stampa, Voi, ch'ascoltate in queste meste rime
Presentiamo il primo sonetto del canzoniere di Gaspara Stampa, costruito come il seguente, l’ultimo della raccolta, sul modello petrarchesco.

Voi, ch'ascoltate in queste meste rime,
in questi mesti, in questi oscuri accenti
il suon degli amorosi miei lamenti
e de le pene mie tra l'altre prime,
ove fia chi valor apprezzi e stime,
gloria, non che perdon, de' miei lamenti
spero trovar fra le ben nate genti,
poi che la lor cagione è sì sublime.
E spero ancor che debba dir qualcuna:
- Felicissima lei, da che sostenne
per sì chiara cagion danno sì chiaro!
Deh, perché tant'amor, tanta fortuna
per sì nobil signor a me non venne,
ch'anch'io n'andrei con tanta donna a paro?


Metro: sonetto con schema ABBA ABBA CDE CDE.
1. meste. tristi.
4. tra l'altre prime: fra tutte le più dolorose.
5. ove... stime: dove ci sia qualcuno in grado di apprezzare un sentimento così alto e la poesia che ne è espressione.
7. le ben nate genti: persone sensibili, di alto sentire.
8. la lor cagione: la loro causa, origine.
10-11. da che... chiaro!: dal momento che per un così nobile motivo («chiara cagion») soffrì un così nobile dolore («danno sì chiaro»).
14. n'andrei... paro: che anch'io sarei così sullo stesso piano di quella felicissima donna.


Gaspara Stampa, Mesta e pentita de' miei gravi errori
Mesta e pentita de' miei gravi errori
e del mio vaneggiar tanto e sì lieve,
e d'aver speso questo tempo breve
de la vita fugace in vani amori,
a te, Signor, ch'intenerisci i cori,
e rendi calda la gelata neve,
e fai soave ogn'aspro peso e greve
a chiunque accendi di tuoi santi ardori,
ricorro; e prego che mi porghi mano
a trarmi fuor del pelago, onde uscire,
s'io tentassi da me, sarebbe vano.
Tu volesti per noi, Signor, morire,
tu ricomprasti tutto il seme umano;
dolce Signor, non mi lasciar perire!

Metro: sonetto con schema ABBA ABBA CDC DCD.
2. del mio... lieve: del mio così grande e inconsistente, del mio perdermi dietro a vani pensieri d'amore.
7. e fai... greve: e rendi leggero ogni peso difficile da sostenere e gravoso.
9-10. mi porghi... pelago: mi aiuti («porghi mano») a tirarmi fuori dal mare del peccato («pelago»).
13. tu ricomprasti... umano: hai riscattato con la tua morte in croce tutto il genere umano.


Analisi dei testi
Nel sonetto Oh che tranquillo mar, che placide onde Vittoria Colonna ricorda il cambiamento repentino e irreversibile che la morte del marito ha prodotto nella sua esistenza. Quando lui era vivo la poetessa era come una solida nave, riccamente or-nata, intenta a seguire la sua rotta solcando un «tranquillo mar» e «placide onde»: il vento era favorevole («aure seconde») e il cielo sgombro di nubi lasciava che le stelle guidassero i naviganti con la loro luce («benigni lumi»). Poi, improvvisamente, la calma si è rotta: la sorte è mutata e la nave è stata travolta da una «cruda procella», il cielo si è ricoperto di «venti, piogge, saette», e intorno all’imbarcazione si sono materializzati «mostri» orrendi e famelici.
Mentre nella prima parte del sonetto, corrispondente alle due quartine, prevale il rimpianto per un passato felice, nella seconda parte domina l’idea della precarietà della sorte, che ha trasformato quella gioia serena in un doloroso tormento. La dialettica passato/presente si esprime attraverso l’alternanza dei tempi verbali: mentre l’imperfetto rievoca un tempo felice, awolto in un’aura di perfezione («solcavo», «avea», «dava»), il passato remoto allude al momento preciso del cambiamento («scoverser»), e il presente richiama l’attenzione sulla inesorabile fine di ogni gioia («aeconde», «insorge», «aduna», «scorge»).
I sonetti di apertura e di chiusura del canzoniere di Gaspara Stampa rivelano l’intento programmatico di tracciare una storia in versi del suo amore sul modello di Petrarca, seguendo un itinerario morale che dall’abbandono alla passione amorosa porta al pentimento, alla consapevolezza della vanità di ogni bene terreno e all’invocazione della grazia divina. Al di là delle analogie strutturali e lessicali, tuttavia, lo spirito di fondo che ispira la sua raccolta è profondamente diverso.
Se si confronta il sonetto Voi, ch'ascoltate in queste meste rime con quello proemiale del canzoniere petrarchesco Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono si noteranno infatti, al di là delle riprese testuali («Voi, ch’ascoltate»; «il suon»; «ove fia chi»; «perdon»; «spero trovar»), anche significative differenze. Nei versi di Gaspara Stampa le «rime sparse» di Petrarca diventano «meste rime», «mesti», «oscuri accenti», e i sospiri d’amore si trasformano in un sofferto lamento («il suon degli amorosi miei lamenti / e de le pene mie tra l’altre prime»). La poetessa, inoltre, individua l’interlocutore ideale dei suoi versi in «chi valor apprezzi e stime», laddove Petrarca richiamava l’attenzione sull’esperienza diretta delle pene d’amore («ove sia chi per prova intenda amore»). La distanza dal modello si fa ancora più netta nelle terzine, dal momento che Gaspara Stampa non rinnega affatto il suo amore per Collatino, ma al contrario lo definisce «sublime cagione» della poesia, tale da procurarle gloria presso le «ben nate genti».
Anche nel sonetto Mesta e pentita de' miei gravi errori il lessico rimanda in modo diretto a Petrarca, soprattutto dove compare il tema del pentimento e della fuga del tempo («errori [...] vaneggiar [...] tempo breve / de la vita fugace in vani amori»). Al poeta trecentesco può essere ricondotta, inoltre, l’ispirazione religiosa del sonetto, sebbene nei versi di Gaspara Stampa il dissidio fra beni terreni e beni spirituali rimanga in superficie. Sul piano stilistico la presenza del modello risulta evidente soprattutto nelle frequenti dittologie (si noti in particolare «mesta e pentita», che riproduce sul piano ritmico Solo et pensoso) e nelle antitesi («e rendi calda la gelata neve, / e fai soave ogn’aspro peso e greve»). Una contrapposizione è presente anche nelle rime finali: i «gravi errori» e i «vani amori» della prima quartina si ricollegano infatti per contrasto «ai santi ardori» della seconda quartina.

Tratto da Guerriero-Palmieri-Lugarini, Prisma, volume 1 (La letteratura dalle origini alla fine del Quattrocento), pp. 391-394


Postato il 4 gennaio 2011

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