23 febbraio 2011

Anche la religione è servizio pubblico ...

Nei Paesi cattolici la catechesi ha sempre alimentato la memoria e l’etica sociale: oggi è ancora così? Una riflessione inedita di Lustiger
di Jean-Marie Lustiger
Le religioni non determinano ulteriormente il ruolo dello Stato, esse non possono fare altro che riconoscerlo o prenderne atto. Lo Stato non può sostituirsi al­le religioni e imporre alle coscienze una propria definizione dell’Assolu­to: i cittadini devono poter scegliere secondo coscienza e in libertà. Su questo punto il diritto positivo deve garantire un diritto fondamentale della persona umana. La questione del fondamento dei Diritti dell’uo­mo può portare lo Stato e le religio­ni a lavorare, ciascuno per la sua parte, alla verità, che è liberatrice.
Senza un fondamento adeguato, l’universalismo dei Diritti dell’uo­mo – ai quali aderisco totalmente – rischia di essere regionalizzato. Per esempio, quale Dichiarazione dei Diritti dell’uomo riconoscono gli Stati islamici? La Dichiarazione apre alla speranza di un ordine giuridico universale. È uno dei grandi dibatti­ti attuali e non va condotto con l’at­teggiamento della conquista o della colonizzazione ma secondo ragio­ne. Bisogna lavorare perché le diffe­renti culture possano evolvere in modo che questa nozione non ap­paia come un prodotto esclusiva­mente occidentale ma manifesti il suo radica­mento in tutte le culture dell’umanità. L’umanità va pensata come «una».
La laicità è un valore sto­rico e culturale di prima grandezza. Non può es­sere ridotta a una deter­minazione giuridica. Non è iscritta, immobile, in un ideale empireo, è collocata nella storia, poggia su testi fondativi, è garantita da prassi giuri­sprudenziali, si traduce in azioni politiche. Essa rappresenta un saper vivere codificato che evolve con il succedersi delle generazioni. È alla laicità in quanto strutturante l’o­dierna cultura francese che si pon­gono nuove domande: si tratta dun­que di concepirla con spirito libero, dando per certa la fine dei sospetti, per chiariti gli scopi di ciascuno, per superate con lealtà, ragionevolezza e cortesia le dispute. Quali sono le nuove domande che nella nostra società francese si rivolgono alla lai­cità? La società è stata scossa da grandi mutamenti, dopo la prima guerra mondiale. Le trasformazioni intervenute hanno messo sottoso­pra gli equilibri interni alla vita so­ciale. Fin dall’inizio la Repubblica ha assegnato uno spazio alle mino­ranze religiose: ha accolto il prote­stantesimo, ha riconosciuto i citta­dini ebrei durante la Rivoluzione francese. Ma il ruolo del cattolicesi­mo resta specifico in quanto di fatto costituiva una maggioranza. Era co­me se la religione cattolica svolges­se un ruolo di «pubblico servizio», benché contasse solo sulle proprie risorse. Ma questa costruzione è stata profondamente sconvolta per tutto il XX secolo, sia per ragioni i­deologiche sia per motivi economi­ci e sociali. Ci si è resi conto che così una delle correnti che alimentavano la memoria e la moralità pubblica veniva ostacolata, se non deviata?
Oggi si parla molto di periferie de­socializzate. Non dimentichiamo che, per esempio, queste non sono state pensate né per i musulmani né per gli ebrei. Quando sono state costruite, dopo la seconda guerra mondiale, si trattava di far fronte a un’impennata demografica che in 15 anni aveva comportato, in Fran­cia, il raddoppio degli edifici urbani. La desocializzazione che viene attri­buita agli immigrati e della quale essi sono in verità le prime vittime è frutto dell’urbanizzazione realizzata nel Paese durante l’onda lunga degli anni ’50. Il cattolicesimo paga il prezzo di questo sconvolgimento.
In verità non ha più la possibilità pratica di garantire ciò che un tem­po valeva per quasi tutta la popola­zione francese: l’insegnamento reli­gioso veniva impartito accanto alla scuola pubblica, alla Chiesa, al pre­sbiterio; l’80% dei francesi era cate­chizzato! Venivano forse corrotti, o privati di principi morali? Attual­mente le concrete condizioni della scolarizzazione e la scansione del tempo scolastico impediscono di e­sercitare ancora quel «servizio pub­blico » a favore della memoria stori­ca e spirituale. Questa tradizione re­sta accessibile soltanto ad alcune minoranze militanti. È material­mente impossibile garantire questa trasmissione culturale alla maggio­ranza. Chiedere allo Stato di assu­mersi questo compito costituirebbe una deriva molto pericolosa perché un’ideologia o una pseudo-religione di Stato potrebbe sostituirsi alla li­bertà religiosa dei cittadini e alla lo­ro dignità personale. È più opportu­no proseguire nella riflessione sulla cultura francese e sulla sua memo­ria. Qualche progresso si è realizza­to per attenuare la sistematica eli­minazione dall’insegnamento del­l’aspetto religioso della cultura. Come parlare della cultura tedesca senza parlare di Lutero, o della sto­ria della Francia senza evidenziarne le radici bibliche e cristiane? Certo ci vorrebbero degli insegnanti che guardassero con simpatia alla di­mensione religiosa iscritta nella nostra civiltà. Anche se non spetta loro il compito di trasmettere una fede o di inculcare convinzioni d’ordine trascendente. I nostri contempora­nei si sentono spesso aggrediti da u­na sorta di mancanza di rispetto. La derisione accentua una deriva po­polare aggressiva che può portare a conseguenze politiche. Nella nostra società vige la regola del rispetto: bisogna vigilare perché questa rego­la sia rispettata.
«Cancellare il cristianesimo dall’insegnamento scolastico determina un impoverimento dello Stato e della sua stessa laicità: ce ne rendiamo conto?»
«Avvenire» del 20 febbraio 2011

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