01 febbraio 2011

Poveri noi, ridotti ad amare la mediocrità

Segni di declino
di Andrea Carandini
Un tempo la cultura era una religione laica, imprescindibile. Visitando a Roma il Giardino del Lago, col bel tempietto dedicato (in lettere greche) ad Asclepio Salvatore, nessuno si sarebbe domandato: chi era costui? Oggi, dopo generazioni di egualitarismo, che ha pericolosamente ravvicinato l’asino al sapiente, la qualità culturale si è straordinariamente abbassata (come ha osservato recentemente su queste pagine Tullio Gregory), anche se il bisogno di cultura si è invece esteso. Si riteneva, una volta, che leggere, riassumere e studiare il latino fossero esercizi essenziali per la cura della mente, come era necessaria la cura del corpo. Poi il corpo ha preso un sopravvento, in modo del tutto sproporzionato, e oggi le ragazze mediterranee arrivano a ridurre i fianchi prosperosi come quelli di silfidi nordiche denutrite, magari indebitandosi. Eppure il corpo è quel che è, lo si può allenare e imbellire, ma il dato naturale finisce per prevalere, e l’avvenenza non dura mai abbastanza. Il cervello non è così, non è un dato: lo fabbrichiamo giorno per giorno - anche da vecchi - studiando, riflettendo, elaborando idee, se abbiamo gli strumenti per farlo. La mente può rimanere un misero e triste cespuglietto, oppure può diventare un leccio grandiosissimo, come quello dietro al tempietto del dio della salute al Giardino del Lago. Ha raccontato le potenzialità cerebrali il famoso neurologo Oliver Sacks. Se veniamo colpiti da una diminuzione, in pochi istanti il cervello si organizza per sostituire la facoltà perduta e, quando ciò non è possibile, per acuire la percezione in altri campi, in modo da compensare la sopraggiunta limitazione. Figuratevi cosa succede a una mente sana che si applichi in un qualsiasi ramo del sapere: vengono a crearsi intere configurazioni peculiari, per cui la mente di Abbado ha un suo sistema invero straordinariamente affinato nel campo musicale, come quello di Renzo Piano nell’architettura... Tanti cervelli, uno diverso dall’altro, e soprattutto diversissimi da quei cervelli che, presi erroneamente come dati, sono rimasti campi incoltivati, dove cresce al più qualche erbaccia, qualche sentimento primitivo. La stessa informazione si ricava leggendo Alla ricerca della memoria (Codice Edizioni) del Nobel E. R. Kandel. Racconta come il consolidarsi della memoria produca modificazioni fisiologiche che sviluppano nel cervello complesse connessioni «sinaptiche», cioè relazioni tra neuroni. Conclude l’autore: «Se vi ricorderete qualcosa di questo libro è perché dopo che avrete finito di leggerlo il vostro cervello sarà leggermente diverso». Quanti in Italia leggono un libro all’anno? Naturalmente curare il corpo rende più nell’immediato, dà soddisfazioni apparenti. La mente invece se ne sta celata nella sua scatola, nonostante sia la realtà più complessa che conosciamo nell’universo. Ma è il cervello a determinare alla lunga la riuscita sostanziale di una vita, una felicità raggiungibile e serena, spoglia di droghe. Il prevalere di stereotipi mentali, recepiti e potenziati a specchio dai media, è quanto di più nocivo possa esserci per lo sviluppo della mente. È meglio camminare con le proprie gambe o con stampelle? È preferibile pensare con la propria testa o con idee ricevute? Un certo egualitarismo inintelligente, diffuso tra noi, ha frenato gli spontanei e liberi processi di differenziazione culturale, il bisogno di elevazione umana. Così le opere della libertà, che sono necessariamente diseguali, rischiano di essere svalutate, dissipate, mutilate (sarebbe da rileggere De Ruggiero, Storia del liberalismo europeo, 1941). Allora le qualità umane da eccellenti diventano mediocri e - peggio - si diffonde un amore sconsiderato per la mediocrità: come è bello essere ignoranti, protervi, urlatori, volgari! Un tempo si scrivevano romanzi in cui la formazione era lo scopo di una vita. Il merito nella ricerca era il solo metro di giudizio per l’avanzamento negli studi. Libri, archivi, antichità, belle arti, monumenti e paesaggi costituivano il serbatoio nazionale della memoria su cui si edificavano persone e personalità, che ora si plasmano invece su insistenti pubblicità e consumi sempre più inattraenti. Cosa abbiamo fatto! Abbiamo ingannato i giovani, dando loro vino sempre più annacquato, conservato in bottiglie con l’alloro sull’etichetta: ma il simbolo più non illude, e chi può corre a formarsi e a lavorare altrove. Che tristezza! È straordinariamente urgente un riscatto culturale, scientifico e storico, dell’Italia, pena una decadenza senza fine di fronte a un globo che, al contrario, avanza.
«Corriere della Sera» del 23 gennaio 2011

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