15 marzo 2011

Fontane, il ’900 è poesia della decadenza

di Alessandro Spina
Rileggevo in questi gior­ni qualche capitolo dei romanzi di Theo­dor Fontane. Ebbene, ci sono romanzi che funzionano al (loro) massimo anche ad a­pertura di libro e altri dei qua­li, per goderne a pieno la grandezza, bisogna seguire tutto il tracciato. È sciocco credere che i primi siano più grandi, si tratta solo di cate­gorie di scrittori diversi. Basti pensare che il Tolstoj di Guer­ra e pace, per esempio, ap­partiene alla seconda catego­ria. Così il diletto Theodor Fontane. Nei due scrittori è una sorta di flusso di vita che incanta, del quale si resta prigionieri.
È ovvio pure che ad avvici­narmi a Fontane c’è, oltre la curiosità inestinguibile per la società tedesca, il posto che lui assegna nel narrare alla conversazione. Come in Tho­mas Mann c’è in Fontane quella sorta di poesia della decadenza, quando un siste­ma di valori e una società si sfilacciano, a cui sono sensi­bile proprio nel lavoro di ro­manziere. Altri narrano di ri­voluzioni, dell’epopea napo­leonica, delle lotte di classe... Albe di nuovo mondo più o meno felice, magari disgra­ziatissimo.
La vita, in qualunque campo, è una somma di varianti, tut­te legittime. Ma uno non si trova dovunque a casa sua. Fontane fa parte della mia ca­sa – tutto qui. In qualche ma­niera (vedi Mann) a me sem­bra che Fontane apra le por­te del ’900. Lasciamo parlare Ladislao Mittner, la cui Storia della letteratura tedesca è molto lodata. A me piaceva poco, forse (è impensabile leggere tutto) perché avevo scorso qualche capitolo fiac­co. Invece (bontà delle rilet­ture!) leggo adesso con inte­resse il capitolo (appunto!) su Fontane. Non tanto poi per capire meglio Fontane ma perché trovo qua e là una... giustificazione dei miei Uffi­ciali, una precisa descrizione dei miei racconti.
Leggiamo dunque: «Un’infal­libile sicurezza nello svolgi­mento delle scene compiutamente dialogiche, nelle sce­ne in cui i personaggi appa­rentemente si limitano a con­versare di cose insignificanti e proprio con ciò rivelano l’essenza più profonda della loro anima». Altrove:«La gran­de arte fontaniana, quella del­la conversazione vivacissima, arguta e molto precisa, ma al­trettanto lieve ed inconcludente, consiste in una ma­niera particolarissima di es­sere dentro e fuori della propria età concreta, di essere in­dividui politici ed individui privati ad un tempo». Più a­vanti: «Accolse in apparenza varie correnti moderne, ma rimase anacronisticamente legato ad un tipo di letteratu­ra che da molti decenni ap­parteneva al passato».
Poi: «I ricevimenti affascina­no Fontane non perché vi succeda qualcosa (infatti non vi succede mai nulla), ma per­ché vi si conversa; e quanto egli si propone di farci sape­re non è ciò di cui si conver­sa, ma la maniera come si conversa». Infine: «Fontane e­vita il più possibile la narra­zione dei grandi fatti scon­volgenti del suo secolo, limi­tandosi ad un studio attento e sagace delle condizioni so­ciali e morali che predispose­ro e quasi determinarono quegli sconvolgimenti». Ecc., inutile andare oltre. Negli scritti dei critici del passato troviamo talvolta splendide recensioni dei nostri libri.
«Avvenire» del 15 marzo 2011

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